Trionfo di Fede

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Ora che Emilio Fede se n'è andato - forse - incrociamo le dita - potremmo anche riconoscere la sua grandezza. E invece qua e là continuano a spuntare le solite interpretazioni concilianti, minimizzanti: è vero, era fazioso, ma lo era in modo manifesto. E poi era un grande professionista, ci mostrò per primo Bagdad bombardata eccetera eccetera. Vedi l'"onore delle armi" che Aldo Grasso gli tributa sul Corriere: citando Cacciari, Grasso parla di "informazione di parte, ma .. senza infingimenti". Intanto sulla Stampa Mimmo Càndito si domanda se la spudoratezza di Fede non abbia una sua "innocenza" (virgolette sue) "che lo assolve".

Io non sono qua per assolvere o condannare nessuno, grazie al cielo non è il mio mestiere. Dico solo: smettete di offendere Fede. Smettete di considerarlo un burattino, un pagliaccio, uno che faceva il fazioso però lo faceva in modo spudorato quindi ok. Fede è stato davvero un grande professionista, salvo che la sua professione non era più il giornalismo, perlomeno dal '94 in poi. E la sua grandezza non sta certo nell'averci mostrato gli infrarossi dei bombardamenti con qualche minuto di anticipo. Poche persone possono dire di aver davvero cambiato la Storia d'Italia degli ultimi vent'anni con il loro lavoro quotidiano, e tra questi c'è Emilio Fede, che è stato cruciale nella costruzione, e soprattutto nella conservazione del consenso berlusconiano. Gli araldi del MinCulPop fascista svaniscono al confronto, con la loro retorica magniloquente che la stragrande maggioranza della popolazione illetterata nel ventennio recepiva poco o male. Non così Fede: lui sì che ha avuto il polso del suo pubblico.

Probabilmente non c'è mai stato in Italia un agit-prop più bravo di lui (continua sull'Unita.it - H1t#120 - e mi sembrava un pezzo abbastanza semplice, ma leggendo i commenti forse no).

Probabilmente non c’è mai stato in Italia un agit-prop più bravo di luiun ministro della propaganda così concentrato sul suo target, sul suo segmento di riferimento: dai sessantenni in su. E vi par poco? Berlusconi le elezioni le ha vinte anche coi vecchietti; forse quando un po’ del polverone di questi ultimi anni si sarà depositato scopriremo che le ha vinte soprattutto grazie a loro, e che non è stata né Angela Merkel né Ruby Rubacuori a decretarne la fine, ma il normale esaurimento di una generazione che in Berlusconi non ha smesso di credere. Quella classe di ferro che a partire dagli ’80 si mise a guardare Canale 5 non perché ci trovava nuove idee o volti nuovi; al contrario, una capsula del tempo in cui Berlusconi aveva apparecchiato per lei Corrado, Sandra e RaimondoMike Bongiorno, tutti i vecchi volti della Rai che come i loro spettatori stavano avviandosi verso la pensione: così, quando finalmente si poté fare un tg, era normale che Berlusconi scovasse anche Emilio Fede e lo rimettesse sotto i riflettori.
Tra i membri della vecchia guardia, Fede si è dimostrato il più dinamico. L’”eroico Emilio Fede”, come lo chiamava il suo padrone, ha saputo reinventarsi totalmente, scivolando dolcemente dall’informazione all’infotainment alla propaganda pura. Chiamarlo giornalismo era ormai una tripla offesa: al giornalismo, che è ben altra cosa; a noi stessi, che dovremmo essere capaci di riconoscere la differenza; e a Emilio Fede, alla sua arte, alla sua fatica quotidiana. Non era un pagliaccio innocuo, chi continua a dirlo forse non ha proprio capito. La sua faziosità non era manifesta – forse lo era a Cacciari o ad Aldo Grasso, ma non a milioni di pensionati che di lui si fidavano, e alla minaccia comunista di Romano Prodi ci hanno creduto davvero. Perché gliela raccontava Fede, e Fede li conosceva: ben più di Grasso o Cacciari, o degli stessi Veltroni e D’Alema, che prendendo la tessera del Fede Fans Club mostrarono decisamente di sottovalutare il problema. O forse credevano che la loro indulgenza per Fede sarebbe stata ricambiata, quando anche a sinistra sarebbero spuntati agit-prop altrettanto bravi.
Il che non si è avverato. Nessuno a sinistra si è mai anche solo avvicinato all’efficacia propagandistica di Emilio Fede. Forse perché la sinistra italiana è matura, vaccinata, dotata persino in abbondanza di senso critico (che troppe volte rivolge su sé stessa). Forse. Perlomeno, a me piace pensarla così. Oppure semplicemente nessuno era bravo quanto Fede, e lui non poteva che andare al miglior offerente. http://leonardo.blogspot.com
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L'innocente era lui

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(Cinque anni fa esisteva una bella rivista on line che si chiamava Sacripante!. Io avevo una rubrica in cui rispondevo a lettere immaginarie. I pezzi che ho scritto per Sacripante ogni tanto li ritrovo qua e là per la rete: non portano il mio nome, né il mio link, sono in assoluto i figli più orfani che ho.
Di questo in particolare provo molto pudore, e ogni volta che qualcuno lo ritirava fuori andavo a nascondermi dalla vergogna. Però è vero che l'ho scritto io, e dopo cinque anni è ora di riconoscerlo: brutto o bello che sia, viene da qui).


(2005). È vecchio, stanco e scazzato, con quel vago senso di vergogna che l'assale tutti gli anni verso la festa dei morti.
Perché? Non sa esattamente il perché. Saranno i tanti amici sepolti là fuori, che reclamano un saluto, una preghiera, un mazzetto di fiori. Ma Dio, che sciocchezze. Che banalità neo-pagano-vetero-borghesi. Dovrebbe fregarsene di queste cose. Dovrebbe.
Ma la mamma. Il solo pensiero.
Avrebbe dovuto farla cremare. Non ha avuto il coraggio. Così adesso è lì, e il solo pensiero di non andarla a trovare, gli ficca ogni due novembre un artiglio nel cuore.
"Ci vado. Ci vado. Ma oggi no, troppa confusione. E poi si è fatto tardi, che ora è?"
Sono le tre e lui è ancora in vestaglia. Un vecchio in pantofole e vestaglia, ecco quel che è. Lui un tempo così pieno di energia, di voglia di fare: ora gli ci vuole mezza giornata solo per mettersi a tavolino.
Il computer è il vecchio pentium che gli ha lasciato il povero Raffaele – fu lui a insistere che bisognava aggiornarsi, a buttargli via a tradimento la vecchia Lettera 22.
"Stai diventando un feticista della macchina da scrivere, Paolino, te ne rendi conto? Un vecchio rudere che scrive madrigali sui bei tempi andati. Svegliati! Tra un po' è il Duemila!"
"Mi fa schifo il Duemila, Raffaele".
"Ti fa schifo il Duemila, ti faceva schifo il Novanta, l'Ottanta, già il Settanta ti faceva piuttosto schifo. Dov'è la novità? La novità è che ormai il Duemila se ne frega, di quello che pensi tu. Se non impari ad accendere il computer, manco se ne accorgerà, il Duemila. E sai cosa vuol dire se nessuno se ne accorgerà?"
"Cosa vuol dire?"
"Vuol dire che sei morto! Quando nessuno ti leggerà più, quando nessuno ti capirà più, sarai morto, Paolino! Prima ancora di andare sottoterra! Perciò devi imparare a spedire le mail, capito? Le mail ai giornali! Così magari riescono a pubblicarti un pezzo in giornata".
"Ma per favore…"
"E aprire un sito, perché no? Un sito Internet in cui dialoghi coi tuoi ammiratori, e…"
"No. Col porno ho chiuso, e lo sai".
"Ma cos'hai capito. Non c'è solo il porno su Internet…"
Buon vecchio Raffaele. Anche lui era morto, qualche anno prima, di una morte ideale: un arresto cardiaco, istantaneo, indolore per lui e per chi gli stava accanto. Solo, si era dimenticato di lasciar scritto che lo cremassero. Così ora si trattava di scegliere se farsi tumulare accanto all'amata madre o al compagno di vita. Un altro pensiero fastidioso, un'altra spina. Benché certo, Raffaele non si sarebbe offeso – non si offendeva mai.
Si erano incontrati tardi, nel modo più improbabile. Com'era potuto accadere, a un pederasta incallito come lui, sempre a caccia di ragazzini, di innamorarsi di un borghese, un funzionario Rai con moglie e figli? Raffaele non divorziò finché la cosa non divenne davvero di dominio pubblico, e ci volle ancora molto tempo.
Nel frattempo lo aveva aiutato a rimettersi in piedi – lui veniva da anni complicati, processi per oltraggio al pudore e debiti con gli avvocati; film sequestrati dalla magistratura, e persino dalla malavita – per giunta era una fase di crisi creativa, in cui gli sembrava di non aver fatto nulla di buono, anzi: suo malgrado aveva creato un mostro, il filone erotico-medievale; e ora le sale di periferia pullulavano di pellicole pecorecce a base di dame e castelli, ed era una vera tortura portarci i ragazzini…
"Forte questo, aho! L'ha fatto lei?"
"Ma per favore…"
Gli sembrava di non aver mai capito nulla – per anni si era creato un mondo immaginario, perfetto, ingenuo, ignorante, popolato da ragazzini altrettanto perfetti, ingenui e ignoranti: tutta spazzatura da cinema di serie B, fantasie da vecchio pervertito: ora gli era tutto chiaro. Avrebbe voluto spazzare via tutto, distruggere sé e la sua opera, con un film davvero criminale, una fantasia sadomaso. E poi stava scrivendo un libro impubblicabile, un diario di tutte le perversioni sue e del suo tempo. In realtà stava scendendo una china pericolosa, chissà che fine avrebbe fatto, se una sera in trattoria non si fosse fermato a parlare con quell'uomo simpatico e brillante – Raffaele.
Raffaele che voleva fargli scrivere sceneggiati televisivi; in un qualche modo si era messo in testa che lui potesse scrivere dialoghi per la Rai TV.
È il futuro, diceva (proprio come avrebbe detto poi del Videoregistratore, del Fax, e infine di Internet). È il futuro che ti sfida, e tu non puoi rinunciare. Lasciati alle spalle tutte quelle menate sulla civiltà contadina. Lascia perdere tutti i tuoi teoremi politici, quelle orazioni da signor "So tutto io"… che poi cos'è che sai, realmente? Un cazzo, sai. E anche il sesso – lascia perdere anche il sesso per un po': è ancora troppo presto, ma vedrai. Io sogno una tv libera e intelligente. Fatta dai grandi autori come te – io so che tu sei un grande autore, se solo la smettessi di girare porcate per il puro gusto di fartele sequestrare, se solo superassi quella fase infantile del comunismo, quella fase, lasciamelo dire, anale…
Ora, mentre aspetta di caricare il file a cui sta lavorando, si chiede seriamente se Raffaele non avesse alla fine torto.
E se non abbia avuto torto lui a dargli retta. Aveva superato la fase anale: distrutto l'ultimo film maledetto, bruciato il romanzo-fiume. E si era messo a macinare dialoghi di qualità per l'industria culturale. Come l'ultimo corsaro della Regina, che si fa nominare baronetto e aspetta la marea giusta per tornare in mare aperto e innalzare la bandiera nera, come tanti altri in quel periodo – ma alla fine la marea non era tornata mai. Erano invece arrivati gli anni Ottanta, e lui si era trovato a bazzicare quel sottomondo di nani e ballerine. Aveva scoperto Eros Ramazzotti, si era fatto riscoprire da Bettino Craxi. Ogni tanto lo intervistavano, specie in autunno quando gli studenti occupavano le scuole; e l'intervistatore cercava sempre di fargli dire qualcosa di cattivo sugli studenti.
"Ecco, lo vedi, Raffaele? Sono diventato una maschera nel teatrino, sei contento?" E Raffaele, tranquillo: "Sta a te trasformare il teatrino in un teatro serio". "No, Raffaele, no. Il teatrino è più forte di me. Mi ha mangiato, digerito e cacato, come tanti altri". E lui scuoteva la testa e sorrideva. Sempre scuoteva la testa e sorrideva, ed era impossibile non amarlo. Per lui non c'erano sconfitte, solo sfide.
Ma ora che se ne andato, è difficile scambiare per sfide così tante sconfitte. Il file si è aperto, finalmente, cos'è che stava scrivendo? Un pezzo sulla cocaina, ancora. La cocaina? Ma è roba che andava quindici giorni fa! È da quindici giorni che ci lavora? E quale giornale gliela vorrà mai pubblicare?
Spegne tutto, si sente stanco. Stanco e scazzato. Non dovrebbe farlo, ma prende in mano il telecomando. La vita va avanti, più stupida che mai, e sapere che può andare avanti senza di lui è quasi consolante. Sul primo c'è una Medea moderna, che uccide il figlio e si getta in pasto agli avvocati. Sul due c'è un reality show per celebrità, lo conosce perché glielo avevano proposto. ("Ma guardate che ho 83 anni!" "Beh, al massimo esce subito, ma vedrà, in fondo lei è un personaggio, Tarantino le ha appena dedicato un documentario, i suoi vecchi film in dvd stanno andando forte, e poi l'omosessuale anziano funziona, e lei potrebbe approfittarne per parlare al grande pubblico delle sue idee. Purché non bestemmi…"). Sul tre cercano le zingare che rapiscono i bambini. Sul quattro e cinque e sei l'immaginario americano, eccola qua – l'immaginazione al potere. Sul sette c'è un grassone che pontifica di guerra al Terrore, e ogni volta che lui lo vede ha un sogghigno – guardalo lì, uno di quei coglioncelli di Valle Giulia. Restano i canali di video musicali. Li guardava a volte, di sera, assieme a Raffaele – gli piacciono i gruppi giovani, i ragazzini sono sexy. Non sono innocenti, non sono ingenui, a vent'anni sono già perfetti stronzi che sanno quanto possono spremere dalla vita, e gli va bene così. E anche a lui va bene così. Ha passato la vita a rimpiangere un mondo innocente, e troppo tardi si è reso conto che l'innocente era lui.

2/11/2005 Caro Leonardo
A volte non riesco a non chiedermi: e se? Lo so che è stupido, ma non ci posso fare niente. Per esempio in questi giorni mi chiedo: e se Pasolini non fosse andato all'Idroscalo, trent'anni fa, cosa farebbe adesso? Come sarebbe? Tu che ne pensi? Perdonami. IF '75.

È vecchio, stanco e scazzato, con quel vago senso di vergogna che l'assale, tutti gli anni, verso il giorno dei morti.
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L'annosa questione smaltimento

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Il re Davide era vecchio e avanzato negli anni e, sebbene lo coprissero, non riusciva a riscaldarsi. I suoi ministri gli suggerirono: «Si cerchi per il re nostro signore una vergine giovinetta, che assista il re e lo curi e dorma con lui; così il re nostro signore si riscalderà». Si cercò in tutto il territorio d'Israele una giovane bella e si trovò Abisag da Sunem e la condussero al re. La giovane era molto bella; essa curava il re e lo serviva, ma il re non si unì a lei.
Ma Berlusconi, chi lo scuote più?
Una scossa magnitudo 7 gli fa il solletico: va persino a farsi fotografare tra le macerie; regala la dentiera alla vecchietta, e tutti gli vogliono più bene che prima.
Contro il nuovo blocco al potere, nemmeno l'emergenza rifiuti può nulla. Ve la ricordate? Sembrava che dovesse inghiottirsi Napoli. Ma è bastato spiegare ai leghisti del nord e ai masanielli del sud che gli inceneritori andavano rimessi a regime, e voilà.

No, non sarà un terremoto, né lo smaltimento di rifiuti. In questo momento l'unico punto debole del Pdl, il tallone vulnerabile che potrebbe costargli qualche punticino alle Europee, è

lo smaltimento della gnocca.

Perdonate il sessismo – anzi, no, perché mai dovreste perdonarlo? Accusatelo, fatelo risuonare nei lobi frontali come gesso spezzato alla lavagna, saggiatene la volgarità ottusa alle ironie. La gnocca è un annoso problema di questa maggioranza, di questo premier. Ne consumano troppa, non sanno più dove smaltirla. La spatolano sui palinsesti tv fino all'esaurimento, e ancora ne avanza. Ne hanno stoccata un po' a Monte Citorio, ma adesso per cinque anni il sito è pieno e non possono riaprirlo – e quindi? Si sente parlare di un convoglio che dovrebbe partire, un treno per Bruxelles. Ma non sarà facile spiegare agli europei che il loro parlamento è stato individuato come sede di stoccaggio.

Il principale responsabile, una volta tanto, è lui. Berlusconi adora la gnocca, è cosa nota: ma la passione che fino a qualche anno fa poteva ancora avere un significato virile, a settant'anni suonati ha assunto aspetti parossistici, inquietanti. Un uomo che da molti anni dovrebbe aver soddisfatto qualsiasi desiderio, realizzato qualsiasi fantasia, si circonda di gnocca, ci si avvolge, se ne fa schiacciare. Non è più *sesso* nel senso che diamo alla parola noi monogami malsicuri. Berlusconi sembra aver trasceso da un pezzo il regno animale, per approdare a una dimensione vegetale in cui la gnocca gioca il ruolo di fertilizzante: si sparge tutt'intorno, e la pianta riprende vigore. Tutto bene, anzi no, perché il fertilizzante esaurisce in fretta le sue proprietà, e va sostituito costantemente. In mancanza di dati certi, è ragionevole supporre che la stessa portatrice di gnocca non possa essere riutilizzata che tre, quattro volte: dopo basta, fine, non serve più, andrebbe sbattuta via. Ma lo smaltimento comporta grossi rischi.

Non importa che sia ancora giovane, bella e ambiziosa. Importa molto di più che sia in grado di parlare, di comporre un banale numero di telefono e contattare questo o quel giornalista incauto. Tra qualche anno forse il problema non si porrà più, i giornalisti saranno tutti sul libro paga giusto e capiranno che non è cosa: ma fino a quel momento la possibilità di alienarsi qualche voto (e la simpatia dei preti) è concreta, più concreta delle polemiche sulla Costituzione. Da qui la necessità di uno smaltimento compatibile con le esigenze e le aspirazioni delle signorine. Per esempio, hai sempre sognato di fare l'attrice, la presentatrice, la soubrette? E come si fa a negare una carriera tv a chi è stata adoperata per fertilizzare Berlusconi (o per comprare uno dei suoi collaboratori, succede pure questo)? Lo scambio di favori tuttavia è estremamente sproporzionato. Se devi assicurare dieci o più anni di carriera a tutte le signorine che hanno passato un week end col capo, o coi suoi alleati più influenti... ti rendi conto rapidamente che sei, sette frequenze nazionali non ti bastano. E si arriva a programmi-monstrum, come Bellissima.

Bellissima era un programma del Bagaglino senza i due comici del Bagaglino, ma con... quattro quintali di gnocca in più. Cioè, muore il grande Oreste Lionello? Compensiamo con la gnocca. Il grande Gullotta dà forfait? E noi ci sbattiamo dentro altra gnocca, non importa se over 40 e un po' fanée. Si capisce che tutta questa gnocca crea problemi strutturali, ovvero: prima tra un balletto e l'altro ci stavano le scenette, ma adesso? Adesso ci mettiamo la lapdance, in prima serata, per la gioia di vecchi e bambini. Il tutto nella settimana del terremoto, perché ci sono priorità che vengono sopra ogni considerazione di audience, e una di queste è l'allocazione di gnocca in surplus. Poi hai voglia a dire che è stato un flop – non credo che si aspettassero un successo di critica e pubblico. Hanno tagliato una puntata su quattro, ok, ma intanto per tre serate abbiamo potuto rifarci gli occhi con, con, con... Pamela Prati. Dico, voi ce l'avete presente Pamela Prati? Piantatela di dire che Berlusconi è immortale, concentratevi su Pamela Prati. In una soffitta di casa sua deve custodire il ritratto di un cadavere purulento. Io non mi ricordo di averla mai vista giovane, era una milf quando frequentavo le elementari, e adesso guardala, dà punti alla Novic. Se davvero non vogliamo più programmi come Bellissima la dobbiamo abbattere, non c'è altra soluzione.

No, una soluzione ci sarebbe: riconvertirla in parlamentare. Un vero uovo di Colombo, anche perché di solito le onorevoli portatrici di gnocca sono docili e non creano problemi. Certo, qualche caso imbarazzante c'è stato e tuttora c'è (ex presentatrici che vogliono chiudere internet, ecc.), ma di solito attirano l'attenzione di un pubblico di nicchia e non provocano nessuna crisi di governo; nel contempo, accrescono l'immagine di Berlusconi-galletto nel pollaio, che piace ai giovani. In questi casi, più che di smaltimento della gnocca, si potrebbe anche parlare di riciclaggio: le scorie della gnocca vengono riconvertite in consenso politico. A Bruxelles questo potrebbero anche capirlo, e provare a venirci incontro. In fondo Berlusconi sta facendo quel che può in direzione di un consumo della gnocca eco-sostenibile...

...ma non ci cascheranno. Nessun tipo di riciclaggio politico, cinematografico o televisivo, può davvero reggere i ritmi attuali di consumo. Pensate a quella ragazza che ha appena avuto Berl. al suo 18mo compleanno. Non so cosa B. abbia fatto o intenda fare con lei o la di lei mamma, e nemmeno m'interessa, ma facciamo due conti: questa vorrà essere sistemata prima o poi, e comprensibilmente. È convinta di essere brava ("perché io so fare tutto"), una nuova Cuccarini, e chi si prenderà la briga di dirle di no? Va messa a contratto. A Cologno, a Saxa Rubra, Monte Citorio, Strasburgo, vedete un po' voi, dipenderà anche dalle inclinazioni. Ma non hai fatto in tempo a sistemarne una così che tutt'intorno te ne sono spuntate altre cinque, è una gara persa in partenza.

E allora? Che fare? Si potrebbe semplicemente attendere che Berlusconi ci resti – in fondo non c'è fine migliore da augurare a un nemico. Ma l'impressione è che la gnocca, lungi da indebolirlo, lo tenga in vita. È il bromuro che lo schianterebbe. Il che vuole anche dire che l'uomo che ha comprato l'Italia, in fin dei conti non sa che farsene. Non è mai veramente riuscito a sublimare in brama di potere le sue banalissime pulsioni carnali. Qualcuno ha detto che comandare è meglio di fottere, ma non pensava a lui.

L'unica soluzione in vista è l'irrigidimento. Quel che rende instabile il sistema non è l'insaziabilità di B., ma i margini di libertà e di espressione che ancora vengono concessi ai cittadini, comprese le portatrici di gnocca. Bisognerà concentrare un po' di più l'editoria, ed educare le giovani generazioni a darla a B. per il gusto di farlo, senza pretendere contropartite televisive o parlamentari. Tempo al tempo, e intorno al Palazzo fioriranno leggende: il mostro che vi abitava pretendeva due vergini ogni primo giorno del mese.
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Quel che resta del Carlino

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La versione di Ana Laura

La vita è un po' cambiata da quando non pranzo più nei bar.
Uno penserebbe: in meglio. In effetti non mi struggo più lo stomaco a piadine. E passo mesi senza sfiorare un solo Resto del Carlino.
Voi lo sapete cos'è il Resto del Carlino. Se siete di Firenze si chiama La Nazione, a Milano si chiama Il Giorno, ovunque si chiama Quotidiano Nazionale, e di solito si aggiunge: “ma com'è caduto in basso?” Anch'io una volta dicevo così, poi ho smesso. Secondo me a un certo punto degli anni Novanta il QN ha raggiunto quei 273 gradi sottozero oltre i quali nulla può scendere, nemmeno l'indecenza. Per certe cose adesso è addirittura migliorato: insomma, è una specie di free-press un po' più caotico graficamente, salvo che si paga e ci scrive sopra Massimo Fini(*).

Al QN, per fare un esempio, oggi hanno aperto con la cattura degli stupratori rumeni e hanno pensato di titolare BASTARDI. Poi hanno pensato che forse era un po' forte la scritta BASTARDI, e hanno deciso di metterla tra virgolette, «BASTARDI». Che sia chiaro che non è quello che noi giornalisti pensiamo di loro, dei «BASTARDI». No, noi siamo garantisti e li consideriamo innocenti fino a prova contraria. Ma se la gente di Guidonia li chiama «BASTARDI», noi possiamo forse venir meno al nostro dovere di cronaca e non titolare «BASTARDI»? Quelle virgolette sono le spallucce del giornalista che dopo aver montato un linciaggio si volta e scrolla le spalle: la gente è così, che ci posso far?

Pensa che una volta il Carlino era l'organo di stampa della maggioranza silenziosa, o ve la ricordate la maggioranza silenziosa? Era uno spasso. Gretta e fascista quanto quella di adesso, ma almeno taceva. Almeno si difendeva dietro titoli grigi e compassati, dietro analisi banali e rassicuranti. Così oltre a gretta e fascista risultava ipocrita, insomma era come se t'invitasse a ribellarti, a dare sfogo alla tua rabbia adolescenziale fondando complessi rock e scrivendo parolacce nei testi. Ma adesso.

Adesso io i ragazzini non li invidio, seriamente, perché come fai a dar corpo alla tua rabbia adolescenziale contro il grigiore ipocrita del mondo degli adulti, quando l'organo di stampa degli adulti è più incazzato di te e senza ritegno titola «BASTARDI»? Si sono presi pure il turpiloquio, e magari fossero ipocriti no, sono sinceri... al punto che ora forse l'unica vera ribellione è l'eleganza. Per esempio quando ascolti Marracash o Fabri Fibra non è certo la spessa coltre di parolacce che ti fa sobbalzare, ma le rare volte che ti piazzano un congiuntivo, che ti azzeccano una metafora, quelle infiorescenze d'intelligenza selvatica e istintiva come la ginestra nata sull'orlo del vulcano, quegli imprevedibili sforzi di tener dentro ogni tanto la rabbia ed esprimersi in modo chiaro e compito, che nell'era della maggioranza ringhiosa stridono peggio di un'unghia alla lavagna.

Mentre rifletto su ciò sono già a pagina 6, ché con tutte queste foto si fa prima a sfogliare QN che a scrollare Dagospia. Lì parlano del caso Battisti. Se stavate pensando che ormai nulla si potesse dire di nuovo su Cesare Battisti, riflettete a cosa significa per QN la fuga di un latitante in Brasile, e la conseguente crisi diplomatica. Cioè, se fosse scappato in Bolivia era finita lì, ma signori, è in Brasile. Pensate a quanti calciatori e ballerine improvvisamente intervistabili su anni di piombo ed estradizione. Per esempio oggi tocca ad Ana Laura Ribas. Dite la verità, che in due settimane di “caso Cesare Battisti”, l'opinione di Ana Laura Ribas non ve l'aveva ancora fatta leggere nessuno. Certe cose le trovi solo su QN.

A quel punto però mi va di traverso la piadina. Perché contrariamente a tutte le aspettative, quel che dice la Ribas è interessante sul serio. Vi ricordate quella storia per cui chiunque, in qualsiasi momento, vi può insegnare qualcosa? Maledizione, vale anche per lei.

Lei sentirà spesso qualcuno dal suo Paese. Che le dicono sulla vicenda Battisti?
«Ho appena parlato con mio fratello che sta a San Paolo. Secondo lui è una ritorsione per la faccenda di Alberto Cacciola, un finanziere milanese che in Brasile controllava un istituto di credito andato in bancarotta nel 2000. Ha causato un sacco di danni a moltissime famiglie. Era stato condannato a 13 anni ma, quando il Governo brasiliano ha chiesto l’estradizione all’Italia, è stata negata. Per molti in Brasile si potrebbe trattare di una ritorsione per quei fatti».


Niente di speciale, per carità, il parere di un parente al telefono. Ma è illuminante. Chi è questo Alberto Cacciola? Non ne avevo mai sentito parlare. Condanna a 13 anni? L'Italia nega l'estradizione? Ehi, ma è una notizia questa. La devo imparare sul Resto del Carlino, dalla valletta Ana Laura Ribas cui l'ha detta il fratello?
Torno a casa e faccio un controllo: della questione Cacciola hanno parlato a suo tempo anche Messaggero, Corriere, Repubblica, riportando le dichiarazioni del ministro della giustizia brasiliano. Solo che non me n'ero accorto. Sono un lettore distratto e superficiale, e chissà quante volte mi sfugge la sostanza dei problemi. Stavolta per esempio mi sarebbe sfuggita per sempre... se non mi fossi ritrovato in un bar a leggere un'intervista ad Ana Laura Ribas, sul Resto del Carlino. Insomma d'ora in poi mi toccherà passare al bar più spesso

(*) Che è sempre il Massimo; per esempio ieri, in seguito all'ordinanza anti-ristoranti etnici nel centro di Lucca, concludeva: “Stiamo diventando il Paese dei divieti. Un Paese talebano senza nemmeno i vantaggi di un regime talebano”. I vantaggi di un regime talebano?
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21st Century Schizoid Anchormen

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Ciao, sono il tuo telegiornale delle Tredici!

La tua finestra sul mondo! Peccato che il mondo faccia schifo. No, sto scherzando, è tutto molto divertente.
Nei primi dieci minuti ci saranno interviste a dei politici presi per strada che si rimbeccano. Questo è molto noioso e non interessa effettivamente a nessuno, ma il Direttore sostiene che c'è una legge che lo costringe, e che comunque se un giorno sbagliasse il minutaggio licenzierebbero lui la moglie e i discendenti fino alla settima generazione. Ehi, sembra che a qualcuno sia successo davvero.

Apprezza almeno lo sforzo dei miei operatori: anche se i politici che parlano sono quasi sempre le stesse mezze calze, loro si sforzano di trovare ogni giorno un'inquadratura diversa. Così almeno ti mostriamo un po' di Città Eterna a ora di pranzo; e poi anche loro riescono più spontanei, più naturali. Le loro dichiarazioni sembrano estorte a forza dopo ore di pedinamenti, e questo se vuoi è paradossale, perché la loro mansione di Portavoce consiste appunto in questo: uscire da Montecitorio, sparare una cazzata anche breve che comunque noi taglieremo, e andarsene per i fatti loro. Bella vita, eh? No, in realtà dev'essere frustrante.

Ecco, finalmente siamo arrivati alla Cronaca, che poi è quello che c'interessa (anche se in realtà non ce ne frega niente). Dunque. C'è un tale in un quartiere di una città che ha ucciso un bambino. Pare gli sia saltato alla gola. L'assassino è uno straniero originario dell'... dell'Anatolia. Notizia tremenda, eh. C'è davvero da aver paura ad andare in giro, con tutte queste brutte facce... Stacco. Pare che in Italia ci sia un'emergenza razzismo. Lo dice una ricerca di un'università. Pazzesco, ma ti rendi conto! Il razzismo! In Italia! La ricerca dice che i mass media tendono a dare risalto ai crimini commessi da stranieri bla bla bla... a questo punto ti saresti già annoiato, quindi abbiamo montato sopra l'intervista a uno psicologo che l'anno scorso ha detto ai nostri microfoni che razzismo è brutto, razzismo non si fa.

Ok, e veniamo all'Orribile Processo. Di' la verità, cominciavi a temere che non ne avremmo parlato, eh? Oggi pare che l'Imputata Bionda abbia scambiato uno sguardo con l'Imputato Scuro. Forse era uno Sguardo d'Intesa, ma potrebbe anche essere uno Sguardo di Disapprovazione, in effetti l'unica sarebbe fartelo vedere, ma in quel momento il cameraman s'era distratto, comunque fidati. È tutto? Sì, perché le deposizioni erano noiosissime e noi non vogliamo farti cambiare canale, soprattutto adesso che tra tre minuti c'è la pubblicità. E quindi... beh, abbiamo pensato di approfondire mostrandoti la fila di gente che c'è fuori! Una fila di gente che vorrebbe entrare a vedere l'Orribile Processo, non lo trovi morboso? Abbiamo attaccato la dichiarazione di un vip che lo trova morboso. Oddio, vip... in realtà è un poeta di cui nessuno conosce un verso, ma ha una raccomandazione di ferro della Congregazione Opere Mariane. E poi abbiamo intervistato i vecchietti in fila. Sono sempre morbosi, i vecchietti.
No, in realtà mi stanno simpatici.

A questo punto, senza nessun preavviso, comincia lo spezzone preferito dai bambini e dalla quota cacciatori della Lega: gli animali! I nostri piccoli grandi amici! Purtroppo non riusciamo più a mostrarti l'orso Knut, si è mangiato gli ultimi tre cameramen che si sono avvicinati. Pensavamo di farti vedere un cucciolo di foca orfano allattato a biberon, ma all'ultimo momento c'è arrivata un'agenzia: in un quartiere di una città un bambino è stato morso alla gola da un cane! Sì, vabbè, povero bambino, ma soprattutto... povero cane! I cani, sapete, sono buoni di default, e se per caso a uno scappa di sgozzare un bambino, chissà che infanzia di privazioni e crudeltà si porta dietro. Poi i bambini, diciamolo, certe volte non sanno veramente trattare i cani. Schizzano da tutte le parti, li eccitano... vogliamo un po' parlare della responsabilità di chi non li addestra?

Sì, lo so, è la stessa notizia di prima. Ci siamo accorti che il tizio che mandava suoni gutturali era un “cane pastore dell'Anatolia”, embè? No, ma se tu leggi un'agenzia con scritto “pastore dell'Anatolia”, pensi prima a un cane o a una persona?
Come? Ma certo che funziona così:

straniero sgozza bambino = colpa straniero; 
cane sgozza bambino = colpa bambino. 

Lo trovi strano? Non è affatto strano. È molto semplice: nel consiglio di amministrazione abbiamo tre padroni di cani e nessuno straniero. Adesso però veniamo alle cose serie. Pubblicità.

Automobili, compagnie telefoniche che cercano di strapparsi i clienti esausti, banche che non hanno più nemmeno un soldo per pagare i figuranti ma t'implorano lo stesso di aprire un mutuo, pillolazze che assumi al primo acquazzone e poi non prendi più influenze fino al 2031; quindi se nei prossimi 23 anni un tipo interessante t'invitasse al ristorante... oh, ma andiamo, e ci credi pure? E la prossima volta cosa ti venderemo? La polverina che scioglie le calorie? Certo, come no, abbiamo brevettato una sostanza che infrange le leggi della Termodinamica e invece di usarla per possedere il mondo te la vendiamo sotto le feste di Natale a prezzi modici!

Fine del momento serio.
Costume e Società. Allarme dei medici: la gente prende troppi antibiotici! Ma ogni antibiotico non fa che selezionare un virus più forte, e andando avanti così tra qualche anno i virus vinceranno... chissà poi se era così interessante questa notizia, mah. Nel frattempo comunque ti abbiamo mostrato tre minuti di gente che starnutisce e tossisce sotto la pioggia e un sacco di pilloline dai colori sgargianti; speriamo che sia passato il messaggio giusto.

Poi c'è il super-mega-concorso che sta facendo perdere il sonno agli italiani, che spendono un sacco di soldi per vincere il super-mega-jack-pot. Abbiamo intervistato uno psicologo che dice di stare attenti, che uno rischia di perdersi tutti i risparmi, giocando a questo super-mega-concorso con il super-mega-jack-pot. Che sciocchi, eh, questi italiani che... ma ti ho già detto che c'è un super-mega-jack-pot? No, sai, non vorrei mai venir meno al dovere di cronaca. Dunque, dicevamo, mi raccomando, non dilapidate i vostri risparmi per vincere questo SUPER-MEGA-JACK-POT. Così lo vincerà qualcun altro. Magari proprio dal tabacchino sotto casa tua, perché chi lo sa, in fondo potrebbe avercela lui, la scheda che vince il SUPER-MEGA-JACK-POT.

E adesso che c'è... ah, già, modelle. C'è rimasta la marchetta alle ultime due case di moda importanti, poi se Dio vuole la stagione Autunnoinverno è finita. Siccome però notizie da abbinare agli outfit non ne abbiamo, pensavamo di risolvere anche stavolta il problema così: mostriamo solo le modelle più ossute e intervistiamo uno psicologo che dice che comunque l'anoressia è un problema legato alla famiglia. Quindi beccati altri due minuti di modelle ossute... Ehi, ma hai visto che bel pellicciotto quella lì... ah, è foca? Però. Proprio bella, eh. Certo, ne dovresti perdere di chili per entrarci. Però col nuovo prodotto che scioglie le calorie, chissà.

E questo è tutto. Ciao dal tuo Telegiornale, la tua finestra del mondo.
Sì, lo so, sono schizzato. E mi piaccio così.
No, non è vero, mi faccio schifo.
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Apocalipstick

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Come forse già sapete, mentre l'8 agosto dovrebbe essere il giorno della felicità per gli sposi cinesi, il 9 potrebbe essere quello del collaudo del Large Hadron Collider, l'acceleratore di particelle più grande e grosso del mondo. Talmente grande e grosso che secondo alcuni scienziati potrebbe anche produrre buchi neri suscettibili di inghiottire l'universo.

Probabilmente questi scienziati sbagliano, ma se avessero ragione? Voi come ve l'immaginate una homepage di Repubblica sull'argomento? Io così.



(Clicca sull'immagine per vederla bene).
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Per amore, solo per amore

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Forse non lo sai, ma anche questo è conflitto di interessi

"Tu tuut... tu tutt... Attendere prego... La stiamo collegando col servizio Arci in linea! Il nostro amico Arci risolve i problemi dei telefonatori anonimi dal 1925! Confessare il vostro problema dopo il Bip. Bip!"
"Dunque, ecco, io sono un imprenditore di successo..."
"Complimenti!"
"Eh? Ma credevo ci fosse la segreteria".
"Ma no, stavo facendo il cretino, come al solito. Dunque lei è un imprenditore di successo. In che ramo?"
"Televisivo. Possiedo tre emittenze nazionali".
"Però!"
"Eh, modestamente..."
"Chissà quanta gnocca".
"Guardi, è proprio questo il problema".
"Vorrebbe smettere?"
"Ah, no, questo mai. Però vede, comincio ad avere un'età..."
"Se non funziona più il viagra c'è la pompetta..."
"Ma come si permette? Io ho ancora il vigore dei miei vent'anni. E' che... da un punto di vista meramente fiscale ormai ne ho più del triplo e vorrei lasciare la mia azienda ai figli, che sono giovani e se la meritano".
"Più che giusto".
"Il problema è che... vede, in tutti questi anni mi sono abituato proprio bene a..."
"A gnocca".
"Mi bastava affacciarmi alla finestra e smack! Da tutte le parti. Uno finché non possiede tre emittenti nazionali non ci crede. Di qua, di là, di su, di giù... la sera le trovavo nei cassetti. Tutte a chiedermi un posticino in tv".
"E lei glielo dava".
"Io credo nella gioventù, vede. Così ho cercato di dare a tutte queste giovani più stimoli possibile. Le ho spinte in tutti modi, davvero. E un po' mi piacerebbe continuare a farlo. Ma se lascio il posto ai miei figli... lei capisce... diventa imbarazzante".
"Raccomandare ai figli tutte queste ragazzine".
"Poi loro lo raccontano alla mamma... non che mi faccia paura la madre, eh. Però poi lei scrive ai giornali... una pena... insomma, il mio problema è questo".
"Potrebbe offrire a queste ragazzine altre cose in luogo di un contratto tv. Lei è molto ricco, immagino".
"Sì, ma i soldi non sono tutto".
"Macchine, case, gioielli... usi un po' la fantasia".
"No, vede, lei non capisce. Tutti i ricconi sono in grado di comprare la macchinina nuova all'amante. Ma la tv è un'altra cosa. La tv è un sogno".
"Si spieghi meglio".
"La ragazzina che viene da me, lei... lei non è ancora persuasa a un destino di mantenuta di alto bordo... è convinta di avere delle capacità, capisce? delle doti. Magari è convinta di essere una ballerina nata perché si è diplomata con 9 in ginnastica".
"Comincio a capire".
"Io nelle ragazze cerco questo, il sogno. Cioè, non voglio che pensino Mi sto sbattendo il vecchio per la grana, capisce? E' più una cosa del genere Mi sto sbattendo questo storico scopritore di talenti perché lui ha visto una luce dentro di me che forse neanch'io. Ci passa una bella differenza, mi consenta".
"Bene, a questo punto potrebbe provare a rivolgersi alla concorrenza. C'è sempre bisogno di qualche scambio di favori..."
"Non creda che non ci abbia pensato. Il problema è che io non ho concorrenza".
"E' un monopolista?"
"No, non proprio, siamo in due... Io e lo Stato".
"Bene, e allora si rivolga allo Stato".
"Cioè, secondo lei io dovrei alzare la cornetta, telefonare a un dirigente statale di nomina parlamentare, e chiederle di sistemarmi qualche squinzia? Non credo di avere una faccia tosta del genere".
"Beh, a questo punto... ha mai pensato di entrare in parlamento?"
"Io? In parlamento?"
"Ci pensi bene. Ha tre emittenze nazionali. Se si candida, è persino capace di vincere. E a quel punto, può mettere qualche amico nei posti gusti... e raccomandare chi gli pare".
"Ma è sicuro che con tre emittenze nazionali io mi possa candidare?"
"Lei lo faccia. Prima che si accorgano che non può, avrà già accumulato un vantaggio per cui dovranno venire a patti con lei".
"Ma mettiamo che vincessi... io poi cosa ci faccio lì? Non è mica il mio mestiere. Io faccio spettacolo, scopro i talenti..."
"Può darsi che una volta al governo si trovi più a suo agio di quanto non creda. In fondo la politica funziona un po' come lo spettacolo, non trova? Non deve fare altro che scoprire nuovi talenti, gente che piaccia al popolo".
"Sì, però io di solito scoprivo le ragazzine. Mica ci posso mettere le ragazzine nei ministeri, no?"
"Quelle un po' cresciute, magari. Sui trent'anni. Faranno un figurone".
"Lei dice?"
"Ma sì, quelle che ormai in tv stanno strette... o per qualche motivo non hanno sfondato come era giusto... le riveste un po' e poi zac! A giurare a Palazzo Chigi! Certo, non è come ballare o recitare, ma i riflettori ci sono".
"E poi sono belle docili... insomma, fanno tutto quello che gli si chiede..."
"Lo vede che l'idea un po' la solletica?"
"Beh, io adesso... non lo so, devo pensarci..."
"Ecco, bravo, ci rifletta bene. Tut tut, tut tut. Il Servizio Telefonico Arci le invia i suoi più distinti saluti. La tariffa è di cento euro al secondo più iva. Tut tut, tut tut".

"Arci, cosa stai facendo? Uno dei tuoi scherzi al telefono?"
"Stavo risolvendo i problemi della gente".
"Che gente?"
"Un tale che ha tanta gnocca a mano che non sa dove piazzarla".
"Ecco un problema che io non saprei risolvere. Tu cosa gli hai suggerito?"
"Di fare lo Statista".
"Mah, che cazzata".
"La Storia giudicherà".

"Spero abbia meglio da fare".
Del resto, a un solo uomo Iddio donò la sapienza: re Salomone. E lui si dissipò in concubine.
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Caro spettatore di reality – ma a chi la vogliamo raccontare?
Cara spettatrice di reality, la stagione è iniziata - e la tregua è finita.
Ricomincia l’eterno dibattito tra me, barbogio critico dei reality, e tu, che ancora non ti sei annoiata, macché, insisti. Dopo tanti anni c’è ancora qualcosa di originale da dirci? Mah, chissà, a scavare forse c’è. Comincio io.

Con una concessione: molte delle cose che credevo sui reality non sono vere. Forse erano vere all’inizio. Ma poi i reality sono cambiati, più delle chiacchiere che ci sono cresciute intorno.
Oggi piacciono soprattutto a signore e ragazzine, ma quando arrivarono in Italia (più o meno era l’11 settembre), la curiosità era spalmata su una fetta di pubblico molto più estesa. Faranno vedere tutto? Ma proprio tutto tutto? Riprese nella doccia, sul serio? E poi, seriamente, cosa succede a una persona chiusa in una stanza per mesi con le telecamere? Insomma, all’inizio avrebbero potuto essere un programma per guardoni. O per sociologi. O per sociologi un po’ guardoni. O per guardoni con velleità sociologiche (quelli che tengono videoporno sull’hard disk perché “stanno facendo una ricerca”).

Col tempo abbiamo iniziato a capire che il reality era qualcosa di diverso, o meglio: col tempo è stato il reality italiano a coagularsi in una forma differente (in Italia: in altri Paesi l’opzione pornosoft è tutt’altro che scartata). Però quando critichiamo i reality, e quando litighiamo con voi che ancora vi ostinate a guardarli, abbiamo tutti ancora in bocca le stesse parole che usavamo nel 2001: noi vi diciamo “guardoni!”, e voi rispondete “macché, non capite che è un esperimento sociologico?”

Cerchiamo almeno di cambiare un po’ le posizioni (come si cambiano le regole dei reality: giusto per quella falsa sensazione di freschezza). Non è vero che siete guardoni, probabilmente non lo siete mai stati: però non è nemmeno vero che i vostri programmi preferiti contengano tutta questa sociologia. Non dico che all’inizio non ci volessero provare. Ai tempi della Bignardi ricordo una volta di aver intravisto davvero uno psicologo in trasmissione (non Meluzzi, uno vero), ma lo cassarono presto, probabilmente perché annoiava. Oggi nessuno osa dichiarare che i concorrenti di un reality siano uno spaccato della società eccetera eccetera: al limite possiamo dire che in una società differenziata e complessa si sono scavati la loro nicchia autoreferenziale (Vip di serie B, aspiranti vip, sconosciuti di area tamarra, ecc.).

Per descrivere questa progressiva emancipazione dei reality dalla realtà possiamo giocare sui titoli. Nel 2001 l’espressione “Grande Fratello” suonava ancora minacciosa: Orwell era stato riesumato per avvertire gli italiani che una trasmissione li avrebbe spiati (anche in bagno, sì, anche in bagno). Al confronto “L’isola dei famosi” è un titolo tranquillizzante: tutto quello che succederà sarà confinato in un’isola, e inflitto a un gruppo sociale ben definito (i “famosi”). In pratica il bacino d’utenza dei reality si è lentamente avvicinato e sovrapposto a quello delle riviste di gossip (sono cose scontate, lo so: ma vi giuro che non lo erano nel 2001).

Quindi, cara spettatrice di reality, prometto di non accusarti più di essere un guardone. Al massimo sei una sciampista pettegola, toh.
Ma non finisce qui. Da qualche anno a questa parte ho anche la sensazione che tu sia una… una terribile bacchettona, ecco. Una moralista. E questa davvero la devo spiegare, perché fino all’altro ieri ancora ti accusavo di spiare nei bagni, e questa cosa i moralisti non la fanno. Come faccio a rivoltare la frittata fino a questo punto?

Vorrei provare a illustrare questo paradosso attraverso un caso umano. Rocco del Grande Fratello. Lo so che non ha il carisma di Taricone o Jonathan. Ma secondo me è stato grazie a lui (o perlomeno attraverso lui) che il reality italiano ha trovato la sua via verso il perbenismo da divano.

Quando il reality cominciò (l’11 settembre), Rocco faticò molto a farsi notare. Gli altri inquilini della casa avevano tutti qualche caratteristica facilmente riconoscibile, lui un po’ meno. Il suo personaggio era ancora in fase di costruzione al momento di uscire – come se da quella casa poi si uscisse veramente. Andava alle serate e la gente lo fischiava. Andava alle serate, si faceva fischiare, firmava autografi e incassava. A un certo punto deve aver capito che quello era il suo mestiere, il suo personaggio: il fischiato.

Ed è andato avanti. Nel lungo tunnel verso l’oblio allestito da Costanzo e co., Rocco ha avuto il tempo di perfezionare il suo personaggio (cito wiki) “fortemente eccentrico, ambiguo (soprattutto a causa del suo abbigliamento) e attaccabrighe”. Mentre ai tempi della Casa Rocco era una persona a tutto tondo, difficile da comprendere e riassumere esattamente come ciascuno di noi, in seguito Rocco ha avuto un po’ di successo in tv trasformandosi in un mostro morale: un personaggio che serve esclusivamente a titillare il moralismo che è in ognuno di noi. All’inizio un gay, per farsi fischiare dagli omofobi: poi un riccastro che sputa alla miseria, eccetera. Non so se sia stata una scelta consapevole, ma di sicuro non è stata una scelta del solo Rocco: è stata la via percorsa da tutto il mondo del reality italiano (Rocco è stato solo il personaggio che l’ha imbroccata prima, o nel modo più smaccato). I reality potevano dire qualcosa dell’Italia in cui viviamo: le possibilità c’erano. Ma in nove casi su dieci hanno preferito fare la caricatura dell’Italia che ci piace di meno.

È una deriva che non interessa solo i reality. Nell’arte di farsi detestare Rocco è rimasto un dilettante, rispetto a professionisti come Corona. Ma guardiamo anche fuori dall’Italia. Da qualche anno in qua, l’avrete notato, sono tornati di moda i personaggi sesso-droga-e-rock’n’roll: Pete Doherty, Kate Moss, eccetera. Una cantante soul è diventata una celebrità internazionale sostanzialmente in virtù dei suoi passaggi in clinica. Poi ci sono quelle sulla ribalta già da un po’, come Britney Spears, che erano emerse ai tempi in cui la parola d’ordine è “se m’impegno sin dalla culla posso riuscire in qualsiasi cosa”, e che per adattarsi all’epoca finiscono in clinica anche loro. La differenza con altre epoche di eccessi è enorme. A fine anni sessanta ci si stonava per rivoluzionare la propria percezione delle cose, alla vigilia della rivoluzione (non era una buona idea, col senno del poi): nel ’77 ci si autodistruggeva per nichilismo… oggi ci si stona per la clinica. Quando sei in clinica la gente può giudicarti per quello che sei, e già che c’è compra i tuoi dischi o i tuoi occhiali. L’ideale a questo punto è entrarne o uscirne a intervalli sempre più frequenti. A questo punto è abbastanza inutile criticare Doherty o la Spears: non fanno che incarnare un’esigenza del pubblico, e lo fanno “col loro corpo” (direbbero le tute bianche), senza recite: ingrassano, dimagriscono, vanno in overdose. Per il ludibrio di migliaia di lettori e spettatori, Paris Hilton è stata in prigione: io mi sono sempre chiesto qual è il tipo di spettatore che ama Paris Hilton. No, Paris Hilton sta al mondo per essere giudicata e disprezzata. Ma da chi?

Più o meno dallo stesso pubblico dei reality. Un pubblico all’apparenza pacifico e disincantato, ma con una sete neanche tanto segreta di lacrime e sangue. Un pubblico che non cerca in tv il documento sociologico, ma il mostro negativo, con il quale consolarsi della propria piccolezza. Un pubblico che giudica, con o senza televoto: un pubblico che passa anche tre ore di dopocena a giudicare degli estranei. Un pubblico che, a parte giudicare, non fa poi molto altro.

Io in questo pubblico non ci voglio entrare. Non si tratta di criticare i reality: i reality esistono per essere criticati. Si tratta proprio di sospendere il giudizio. Può darsi che io abbia una morale, ma non passa necessariamente dal divano del giudice-qualunque. Non ho bisogno di disprezzare un vip caduto in disgrazia per sentirmi una persona buona. Perlomeno, non dovrei.
E tu, spettatrice, sei sicura di averne bisogno?
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Oimè, e non danzerò mai più

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Con o senza P

Quando di anni non ne avevo ancora venti, e di lirica non capivo assolutamente nulla, uscivo tuttavia con un soprano: così un giorno varcai la soglia mai prima osata di un negozio di classica, perché volevo regalarle una versione in CD dell’opera che stava studiando (che dolce) e speravo anche di cavarmela con poco (che fesso). Il nome dell’opera non me lo ricordo; ricordo invece la risposta del negoziante.

“Con Pavarotti o senza?”
“Eh?”
“La vuole con Pavarotti o senza?”
“Mah, non so, faccia un po’ lei”.

L’ignoranza mia plateale dovette muovere a pietà l’esercente, che mi spiegò l’arcano: in quel negozio, forse in tutti i negozi di Modena, i cd di classica si vendevano così: con-Pavarotti o senza-Pavarotti. Fu così che nella mia fantasia il più illustre concittadino venne per sempre assimilato a quello che nelle gelaterie è il dispenser di panna montata: “mi fa una Turandot?” “Ci vuole sopra un Pavarotti?” “Se è fresco sì, grazie!”, oppure “No, mi scusi, non lo digerisco”. Evidentemente P o si amava o si odiava, con un sentimento di pari intensità. Pavarotti come il Mac? No, piuttosto come Windows: popolare, un po’ troppo costoso, ed estremamente compatibile, anche se troppo spesso con esiti catastrofici. Pavarotti lo puoi montare anche su Zucchero o sugli U2, ma per quale motivo al mondo dovresti poi ascoltare una schifezza del genere? Mah, forse per l’amore dei bambini poveri. E va bene. Io però non ci sono mai andato, al Pavarotti&Friends, anche se una volta la Feffe aveva misteriosamente trovato dei biglietti e ci eravamo messi d’accordo per portare davanti alle telecamere uno striscione contro… contro… mah, l’Afganistan, forse… poi qualcuno tirò un pacco, non mi ricordo.

Non ricordo neanche se quel giorno, nel negozio, alla fine scelsi l’opera con- o senza-Luciano. Non che abbia importanza, il soprano mi lasciò di lì a poco per un poeta di neo-neoavanguardia. Senza dubbio anche a causa del trauma che ne conseguì, di lirica a trent’anni suonati continuo a non saperne nulla, e non crediate non me ne vergogni. Il mio orecchio, per altri aspetti così sensibile, di fronte a quella roba si pianta, non scevera un baritono da un basso, per lui Mozart o Verdi pari sono. Una sola cosa riesce a fare: distinguere il gusto Pavarotti dal no-Pavarotti. Quale dei due gusti sia poi preferibile non saprei dire, ma so che la mia sordità selettiva è condivisa da milioni di persone del mondo. Per quelli come noi, che dell’ignoranza ancora non van fieri, poter identificare almeno una voce è occasione di orgoglio e gratitudine: senti, senti, questo è senz’altro lui. Non che sia granché, appunto, è panna montata: ma è dolce, buona, democratica. Senti, senti il do di petto, senti.

Però adesso basta, per favore. Se in tv attaccano un altro Nessun dorma, ci viene il diabete.

Pavarotti ha riportato l’opera lirica tra la gente. Chissà poi se la gente se la meritava, in tutti i sensi. Secondo me a un certo punto si era semplicemente stancato di far la scimmia ammaestrata per un pubblico di cariatidi in visone. Proprio come me, come te, come chiunque, lui aveva un solo sogno: fare la rockstar. Ragazze nei camerini, poker, corse al trotto, il piazzale di Novi Sad come la sua Las Vegas personale. Mi viene sempre in mente di una vecchia intervista da New York, in un periodo in cui teneva le prime pagine del mondo semplicemente steccando ogni tanto (le registrazioni delle sue stecche devono valere parecchio, come i francobolli sbagliati):

“Ha letto il Critico-tale? L’ha stroncata, dice che a questo punto preferisce andare a un concerto di Tina Turner”.
“Beh, in effetti anch’io”.

Prima o poi i melomani dovevano uscirci, dal loro Ottocento paludato. Bisogna ringraziare Pavarotti perché ha ricordato a tutti che il melodramma, prima di ogni cosa, è una baracconata kitsch, il padre nobile e ubriacone del musical di Broadway, una cosa tutto sommato divertente: che se non diverte, probabilmente non è nemmeno buono. Come i quadri di Covili da cui sembra uscito, che prima di piacere ai critici piacciono ai bambini. Come il gelato, che prima di ogni cosa è dolce: hanno provato a farli salati, ma il popolo lo vuole dolce. E poi sì, a volte ha gusti assurdi il popolo: c’è chi chiede la panna sopra l’ananas, ma in fondo è un suo diritto.

Una delle cose meno comprese che ho fatto con questo blog è il gioco a inventare edizioni immaginarie di Pavarotti & Friends: 2001 e 2003. Si fa così: si prende una qualsiasi canzone pop, si traduce in italiano ottocentesco, e poi si immagina Pavarotti che la canta. Se siete nella doccia, potete anche interpretarlo. Forse sono l’unico al mondo a cui queste cose fanno a ridere, in ogni caso ecco a voi il duetto con George Michael

George: And I never gonna dance again
Guilty feet they've got no rhytm
Though it's easy to pretend
I know you're not a fool
I should have known better than to cheat a friend
And waste a chance that I've been given
So I never gonna dance again
The way I dance with you


Luciano: Oimé, e non danzerò mai più
Nell'orma dei passi colposi
Finger già facile fu
Ma con te giammai!
Con te persi l’amico che il fato mi dié
E nel pensier io mi torturo
So I never gonna dance again
Com’io danzai con te

E con Bono (non escludo l’abbiano fatto davvero):

Luciano: Non posso credere alle nuove
Né chiuder gli occhi miei e fingermi altrove
Ahi, quanto / dureremo in questo pianto?
Ahi quanto/ ahi qua… a … a… a… nto…
Bono: Tonight we can be as one,
tonight, tonight
Insieme: Domenica trista, domenica trista.

Con i Depeche Mode:

Luciano: Ognor ti penso, e cresce in me il desio
Dave: And I just can’t get enough, I just can’t get enough
Luciano: Soltanto in te trova conforto il pensier mio
Dave: And I just can’t get enough, I just can’t get enough

Con i tre Doors superstiti (e Morrison, all’inferno, stride i denti):

Sai ch’io non sarei sincero
Sai ch’io sarei ben bugiardo
Se or io ti dicessi, invero
Che non possiam salir più in alto

Orsù amor appicca il foco
Orsù amor appicca il foco
Di quella pira orrendo… foco!.

Adesso provate a indovinare voi:

Diletta mia, mi devi dir
Debbo partirmene o restar?
S’io vado, vi saranno guai?
S’io resto, un doppio amante avrai?
Deh dimmi, mia diletta, inver:
debb’io partirmene o restar?

Ok, era facile. E questa?

Ogni tuo sospir
Ogni tuo pensier
Ogni tuo piacer, ogni tuo voler
Io ti scruterò.

Che, non lo sai?
Ti posseggo, ormai,
e reclamo inver
ogni tuo pensier.

Finale col botto: Luciano e Serge Gainsburg si guardano negli occhi, l’orchestra parte, ed è un trionfo:

Pavarotti: Deh! Ché t'amo, io t'amo, oh se t'amo!
Gainsbourg: Moi non plus
Pavarotti: O mio divino!
Gainsbourg: L'amour physique est sans issue
Pavarotti: Tu vai, tu vai e tu vieni
Tra le mie reni
Tu vieni e tu vai
Tra le mie reni
E poi… ti ritrai
Gainsbourg: Je vais, je vais et je viens
Entre tes reins
Je vais et je viens
Et je me retiens…
Pavarotti: No… adesso… vien! (Acuto)

Nel paradiso dei musicisti oggi c'è una nuvola transennata, a forma di Modena, dove i morti illustri fan la fila per duettare col maestro: Tupac, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Syd Barrett, Natalino Otto... Lui stringe le mani e canta qualsiasi cosa, che oggi è la sua festa. Intorno è tutto uno sbandare di angeli che si tappan le orecchie con le ali. Ma tu vai così, Maestro, fregatene. Rock and roll.
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ridete, pagliacci

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Per la società dell'avanspettacolo è stata una settimana difficile. Il palco scricchiola, il pubblico sonnecchia, il sipario è smandrappato e rischia di venir giù tutto d'un tratto.

Su Piste ho messo insieme tre episodi che non hanno apparentemente nulla in comune, eppure:
- A Siena non riescono più a mettersi d'accordo nemmeno su chi ha comprato il Palio.
- A Parigi John Galliano trascina l'Alta Moda Internazionale nel solito carrozzone disneyano.
- A Torino, per scartare il nuovo giocattolino di Lapo e lapoidi, una compagnia di sosia di Vip e acrobati demotivati rifrigge per l'ennesima volta la Storia d'Italia per luoghi comuni.

Tutto questo potrebbe voler dire una cosa sola: non riusciamo più a divertirci. L'Occidente è in quella fase crepuscolare dell'adolescenza in cui appoggiato al muro di un locale con un bicchiere in mano ti rendi conto che non ti piace la musica, non ti piace la compagnia, non ti piace nemmeno il Gin Tonic, che l'abitudine ha preso da un pezzo il sopravvento sul piacere. E la colpa di chi è? E se fosse colpa del Dj? La solita scaletta, invariata da cinquant'anni, non dice niente della nostra vita.

Questa classe dirigente fa schifo per vari motivi, e forse il primo è che non ha fantasia. Ricicla persino i sogni dei papà e dei nonni. Scusate, ma che tipo di nostalgia dovremmo provare davanti a una Cinquecento a diecimila euro? Ma ridateci una Panda a cinquemila, e ai sogni ci penseremo noi.
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I am a dream

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Mentre Prodi non è niente di più né di meno di un onesto funzionario di Stato sposato e non divorziato (comunque merce rara), Veltroni è molto di più, e di meno.

Veltroni è un Sogno: e i sogni aiutano a vivere meglio.
Prodi era rassicurante, ma a un certo livello le rassicurazioni non bastano più. Per rassicurare servono spiegazioni, statistiche, proiezioni, yawn. Gli italiani non vogliono essere rassicurati: vogliono essere sedati. Veltroni è l’unico che fa sognare il Trenta per Cento. No, riflettendo bene ce n’era un altro: Berlusconi.
Perciò non dirci più “I have a dream”, che sarebbe un po’ banale: di’ la verità: “I am a dream”. Il sogno che la tua generazione ce la farà, metterà d’accordo tutti, i neri con i bianchi e i padani coi mafiosi; Luxuria si fidanzerà con Ratzinger e tu celebrerai le nozze durante la Notte Bianca, al Colosseo, prima di uno spettacolo di gladiatori per la pace nel mondo.
Nel sogno veltroniano il futuro è una mescolanza di ricordi del passato, tutti virati in rosa: Kennedy e Che Guevara forse erano nemici, eppure nessuno mi proibisce di appendere i poster nella stessa cameretta. Il Novecento è principalmente un bello spettacolo, ma anche molto culturale. C’era Martin Luther King e c’erano le figurine Panini. E c’era anche Don Milani, anzi Veltroni si considera un allievo di Don Milani. Cresciuto a crostini e Lettera a una professoressa. C’è un piccolo problema.
Nel sogno veltroniano, tutto è ridotto a figurina. Se Che Guevara si riduce a un simpatico guerrigliero, Don Milani probabilmente ce lo ricordiamo come un simpatico prete che si arrabbiava perché le maestre borghesi bocciavano i figli dei contadini. Cattivone, le maestre borghesi! La lezione che Veltroni e i suoi coetanei hanno capito, leggiucchiando Don Milani, è che Bocciare È Cattivo. Una perfida usanza borghese.
Basta scavare un po’, mettersi a leggere neanche tanto, per rendersi conto che Don Milani era un personaggio molto più complesso e più ruvido. Per esempio: non sopportava la Ricreazione. Nel suo primo libro, Esperienze pastorali, scrisse proprio un capitolo "Contro la ricreazione" che a suo parere era tempo sottratto allo studio e al lavoro. L’arcivescovo lo esiliò a Barbiana e lui ne approfittò per creare un esperimento educativo irripetibile, anche perché se qualcuno riprovasse a ripeterlo al giorno d’oggi finirebbe in galera per plagio o sequestro di persona: gli alunni di Barbiana studiavano dodici ore al giorno senza giorni festivi e senza ricreazione.
Se il piccolo Walter avesse veramente studiato a Barbiana, se avesse provato a introdurre illegalmente un album di figurine, Don Milani probabilmente glielo avrebbe strappato di mano e lo avrebbe segregato in una stanzetta con compiti extra di matematica. Vaglielo a spiegare, al simpatico prete, che anche la figurina Panini “è cultura”. Milani aveva un’idea arcigna e guerrigliera della cultura. Quando seppe che alcune ragazzine del paese scendevano a valle a ballare, attaccò una predica che non finiva più. Le ragazze proletarie non devono ballare! Devono partecipare alle riunioni sindacali e di partito, altroché. A quindici anni.
UNA RAGAZZINA: Alle riunioni sindacali e politiche non si capisce nulla.
DON LORENZO: A fare quelle mossettine in sala da ballo ti riesce e a seguire una riunione politica e sindacale che ti prepara a essere più capace, più sovrana, ti pare di non essere capace? Eppure probabilmente l’anno prossimo andrai a lavorare e avrai davanti responsabilità immense: licenzieranno una tua compagna di lavoro e dovrai decidere se scioperi o no per lei, se difenderla o no, se sacrificarti o non sacrificarti per lei, se andare in corteo davanti alla prefettura o davanti alla direzione, se rovesciare le macchine e rompere i vetri oppure se tu dovrai zitta zitta chinare la tesata e permettere che la tua compagna sia cacciata fuori a pedate dalla fabbrica. Tu queste cose le dovrai decidere l’anno prossimo e per ora ti prepari twistando in una sala da ballo?[…]
La preparazione alla vita sociale e politica, o oggi o mai. L’età giusta è questa.
(Don Lorenzo Milani, Anche le oche sanno sgambettare (1965), Edizioni Stampa Alternativa, 1995, pagg. 16-17).

Veltroni è la formula alchemica per trasformare ogni Passatempo in Fatto Culturale, e poi, con procedimento inverso, ogni Fatto Culturale in Divertimento. Una parola che Don Milani odiava: divertirsi è scantonare, scordarsi dei propri problemi. Molto meglio rovesciar macchine e rompere vetri. Don Milani sarebbe il profeta dei Black Block, se i BB leggessero e non indulgessero anche loro alle danze e al divertimento. Diciamo allora che Don Milani è un po' troppo tosto per i Black Block - figurarsi per Veltroni.
Veltroni invece è, definitivamente, il Sindaco di Roma, l’erede di una lunghissima tradizione di questori la cui principale preoccupazione era Divertire il popolo sotto-occupato, sedarlo a furia di Circenses. Pensate alla Notte Bianca. Pensate cosa ne scriverebbe Don Milani, se potesse parlare con la lingua sua. Per lui, innanzi tutto, il mondo si divideva in oppressori e oppressi, una distinzione che Veltroni non saprebbe applicare correttamente. Lui stava con gli oppressi e li esortava a bere caffè, a stare in piedi di notte per studiare, per leggere un libro in più, per recuperare la distanza culturale dai padroni. Veltroni invece li tiene alzati per far festa, tutti in fila col bicchiere in mano mentre i padroni si allungano in tribuna vip. E non ci sarebbe niente di male: ma deve anche prendersi Don Milani, deve scrivere “I care” sui manifesti. Ci metterà anche la foto di Don Milani, il prete buono che non voleva bocciare gli asini. Ci stamperanno pure le magliette.
Veltroni è la trasformazione della Storia in Sedativo, e il bello è che funziona: il Passato è roba forte, avvolgente, e ciascuno di noi ha almeno un punto debole. Nessuno è indenne.
Guardate Wittgenstein: quanto si è dato da fare in queste settimane per ringiovanire la classe dirigente. Bene, bravo, non fosse che nel frattempo Veltroni ti organizza al Circo Massimo un concerto dei Genesis. I Genesis. Un gruppo di pelati tronfi che erano già pelati tronfi quando io portavo le braghette. E lui va in sollucchero. Si può rinnovare la classe dirigente e andare ai concerti dei Genesis? Non c’è una contraddizione? No. Non c’è mai una contraddizione, se in città c’è Veltroni.
Io lo voto anche subito. In un mondo di sognatori, stare svegli è fighissimo.
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aspettando i treni, guardandosi in giro

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A letter to Ivan

Caro Scalfarotto,
abbi pazienza per questo mio finto tono informale, in realtà non ci conosciamo. Non ho neanche votato per te alle primarie, mi scuserai.
Ho appreso con piacere del tuo nuovo incarico in Inghilterra.
Ti scrivo perché ho letto che l’altro giorno, mentre guardavi il notiziario BBC su uno schermo al plasma, a bordo del “carissimo ma efficientissimo trenino Heathrow Express che in 15 minuti ti porta in centro a Londra”, ti chiedevi che senso avesse, in Italia, continuare col campionato di calcio.

[...] non si capisce a cosa serva questa specie di circo putrido, incivile, sanguinolento e fallimentare. Davvero: a cosa serve? A chi giovano le devastazioni sui treni e negli autogrill? Chi è responsabile del fatto che da decenni si tollerano le peggiori manifestazioni di violenza e le più meschine apologie di nazismi, fascismi, forni crematori e quant'altro? Perché non lo si è ripulito fino ad oggi come è successo in ogni altro paese civile? Qual è il contributo del calcio professionistico alla cultura sportiva del paese? Che danno verrebbe alla nazione semplicemente levandolo definitivamente di mezzo?

Forse era una domanda retorica; o forse da lassù è davvero difficile capire queste cose, con tutto il movimento che c’è. In ogni caso lascia che ti spieghi, caro Scalfarotto, che levare il calcio agli italiani, a questo punto, sarebbe come sospendere la morfina a un malato grave (forse terminale). Non è detto che non sia la cosa giusta: ma bisogna andarci coi piedi di piombo. Qui da noi siamo riflessivi, lo sai. È un vizio che prendiamo da giovani, aspettando a lungo i treni.

Nello stesso pezzo ti chiedi perché non è mai venuto in mente a un nostro Ministro dell’Interno di telefonare all’Home Office britannico, per chiedere come si fa a risolvere il problema degli hooligans. Domanda più che legittima. Eppure, dopo attenta riflessione (tanto il treno non arriva), sono giunto alla conclusione che sarebbe inutile chiedere medicine agli inglesi: la nostra malattia è molto diversa.

È vero che i sintomi sono simili: folle in delirio intorno a 44 polpacci sudati. Ma la storia clinica che c’è dietro è assai differente. È qualcosa che ci portiamo dalla notte dei tempi, delle nostre rispettive civiltà. Semplificando: gli inglesi hanno inventato il libero mercato, noi siamo famosi nel mondo per alcuni antichi proverbi come Divide et Impera, Panem et Circenses, e più recentemente per prodotti doc come la mafia, il fascismo e il corporativismo. Ebbene, se hai pazienza ti spiego in che modo il calcio è lo specchio di tutto questo. Sì, lo so, tu a quest’ora sei già in riunione. Io invece sono ancora qui, l’espresso non arriva. Neanche a pagarlo col supplemento rapido. Non mi resta che rimuginare, su questa panchina, fingendo che tu sia qui con me.

Il calcio professionistico inglese è nato, ed è sempre stato, un’economia di mercato. Contrariamente a quanto si potrebbe credere, per molti decenni è stato un piccolo mercato. I calciatori non guadagnavano molto più di un operaio specializzato. Tanto che iniziarono prestissimo (1908) a sindacalizzarsi.
Del resto le squadre non avevano moltissimo da offrire. Erano (piccole) società private, e possedevano gli stadi – quegli leggendari stadi proletari, dove si stava in piedi aggrappati a una sbarra. Le piccole squadre campavano vendendo biglietti ai tifosi e i gioiellini alle squadre più forti. Le squadre più forti, per mettere a libro paga i fuoriclasse, dovevano vendere più biglietti. Economia di mercato, senza tanti fronzoli.

Quando negli anni Cinquanta il calcio inglese si aprì al resto del mondo, alcuni di questi operai-calciatori scoprirono una cosa curiosa: che potevano far fortuna all’estero. Ti ricordi del gigante buono della Juventus, John Charles? Beh, lì da te Charles è conosciuto come “The first rich British footballer”, il primo calciatore britannico a far soldi. E non li fece in Inghilterra, no. Li fece qui da noi. Nel 1957 la Juventus gli offrì quattro volte il tetto massimo consentito in Gran Bretagna per un calciatore.

Ora, dimmi tu: secondo la più elementare logica della domanda e dell’offerta, è possibile che negli anni Cinquanta l’Italia avesse un mercato così competitivo da attirare i calciatori britannici? No, non è possibile. Il fatto è che in Italia, già nel 1957, non c’erano squadre-imprese affidate a manager con l’ossessione di quadrare i bilanci. Ma c’erano gli Agnelli, che volevano offrire ai loro concittadini e sudditi un gioiellino. Eravamo ancora in un’economia da mecenati rinascimentali, capisci? Il signore della città che sborsa milioni per questioni di prestigio. Pensa a come il vecchio Agnelli chiamava i suoi gioiellini: Raffaello, Pinturicchio… O pensa, se preferisci, al questore edile che nell’antica Roma dilapidava le sue fortune in Circenses per farsi eleggere Console. Cinquant’anni dopo siamo ancora lì, alla Roma dei Cesari o alla Firenze dei Medici. Forse non ne usciremo mai, come questo Intercity che arranca, sul binario steso un secolo fa.

Ma del resto, c’è mai stata una vera economia di mercato, in Italia? Se togli le oligarchie del vecchio capitalismo famigliare, il sommerso di mafia e camorra, gli interessi corporativi e le storiche lottizzazioni tra partiti, cosa resta? Di sicuro non il calcio. Nessun imprenditore ha mai cercato di fare fortuna col calcio. Le squadre di serie A, B, persino C, sono quasi sempre in mano a qualche industriale che aveva soldi da sbattere via – letteralmente: da sbattere via. Quando Tanzi prese il Parma, Cecchi Gori la Fiorentina, Moratti l’Inter, non pensavano certo di lucrare. Il loro primo interesse era farsi belli davanti ai concittadini. Altri più avveduti, come Berlusconi, hanno utilizzato il calcio come veicolo promozionale per lanciare altri prodotti. Il calcio italiano non è autonomo, non se lo può permettere. Gli stadi sono in affitto: li mantengono i contribuenti. Anche la sicurezza negli stadi è a carico nostro. I tifosi non sono un pubblico pagante, libero di decidere se una squadra merita o no di essere seguita. La tifoseria italiana è l’erede della plebe romana: deve credere ciecamente ai suoi colori, acclamare i suoi tribuni o calpestarli.

Non che in Gran Bretagna sia sempre stato tutto rose e fiori: con tutta la nostra guerriglia domenicale, un massacro come Hillsborough in Italia non c’è ancora stato (forse è quello che ci manca per voltar pagina davvero). Ma dopo Hillsborough il sistema del calcio inglese ha mostrato gli anticorpi. I club hanno capito che per sopravvivere dovevano evolversi. Hanno tolto le sbarre e hanno montato le poltroncine sugli spalti. Hanno dimezzato i biglietti, e hanno scoperto l’economia dei diritti tv. Hanno investito in sicurezza, perché non potevano contare sui bobby della Regina per ogni minimo tafferuglio. È stato pesante, ma l’alternativa era fallire. E per chi fallisce non c’è perdono.

In Italia un perdono, un condono, c’è sempre. C’è sempre un padre amoroso, ansioso di rimetterti i peccati. Le stesse squadre non sono imprese, ma entità metafisiche che passano liberamente da un fallimento all’altro, da una proprietà all’altra. Per loro non valgono le regole dell’economia o del buon senso: non so quale altra società al mondo abbia il diritto di spalmare i propri debiti su una distanza di trent’anni. Perfino gli intellettuali si inginocchiano ai riti della plebe: guai se gli tocchi i colori, gli stendardi, i gonfaloni. Siccome sugli spalti non c’è vera economia, si fa il possibile per trovarci qualcos’altro: cultura, senso di appartenenza, e tutte le altre baggianate che servono a coprire la realtà più evidente.

E la realtà più evidente è che il calcio vive, da un secolo e più fuori dall’economia, finanziato dallo Stato, perché lo Stato ha bisogno di una valvola per il disagio del proletariato urbano. Quei vecchi pensatori oggi in disuso, che nell’Ottocento davano per imminente la rivoluzione, erano meno ingenui di quello che pensiamo. Vivendo nelle prime città industriali, si guardavano attorno e vedevano una rabbia, un’energia, che nulla sembrava poter contenere. Prima o poi quest’energia avrebbe trasformato il mondo. Era chiaro.
Ma avevano fatto i conti senza il calcio. Questa pesissima varietà di oppio dei popoli, di fronte al quale la Chiesa cattolica è solo un placebo per bambini e vecchiette. Chi poteva immaginarselo, a metà Ottocento. Proletari di tutto il mondo, fatevi la guerra. Palermo contro Catania, ultrà contro poliziotti, passatevi il tempo. Ché alternative, per voi, non ne abbiamo.

A meno che non ne abbia una tu, caro Scalfarotto.
Ma tu non mi ascolti. A quest’ora il tuo meeting è finito, e magari stai già prendendo un altro treno.
Anche il mio, finalmente, è arrivato. Saluti.
Solo, un’ultima cosa:
non crederti al sicuro.

No, cos'hai capito, non è una minaccia. È una constatazione. È vero che il calcio inglese funziona meglio. Ma certi problemi del calcio italiano sono sintomi di un malessere di tutta l’Europa occidentale. Dopotutto la Storia non ha sensi di marcia obbligati. E se quelli avanti, per una volta, fossimo noi?

La guerriglia urbana settimanale, la gestione camorristica dello sport, la società dell’avanspettacolo, non sono necessariamente retaggi di un passato. Forse sono il futuro: anche il vostro futuro.
Può essere una mia impressione, ma ultimamente è il calcio inglese ad essersi accostato al modello italiano. I grandi club stanno cominciando a monopolizzare il campionato: non era mai successo. Il Chelsea è in mano a un miliardario russo che sbatte via capitali per questioni di prestigio, e forse per riciclare un bel po’ di denaro sporco. Non è detto che tra un po’ non sia l’Home Office a telefonare al Viminale, per chiedere come si risolvono certi affari.
E al Viminale, gli eredi di una sapienza di generazioni di treni in ritardo, probabilmente gli risponderanno che certi affari non si risolvono: si gestiscono e basta.
Adesso ho veramente finito. Scusa per lo sfogo, e buon lavoro.
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- italian stallions

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("Italian stallions" era il titolone in prima pagina sull'inserto sportivo del New Haven Register; e devo dire che non ce n'e' uno simile sui francesi stamattina).

Ma insomma questa World Cup la guardano, gli americani. Perche'? Cosa ci trovano? E' l'unico sport in cui non sono obbligati a vincere: pure, si sciroppano partitacce di nazioni esotiche come Ucraina o Portogallo; mandano giu' serafici l'umiliazione di farsi buttare fuori da Ghana o Boemia; non si smuovono dal video, anche se nessuno segna per due ore, una cosa impensabile in qualsiasi altro sport. Perche'?

Ebbene, sentite un po' questa. Gli americani guardano il soccer perche' e' divertente. Proprio cosi'.

E' divertente - l'avreste mai detto? - addirittura fa ridere. Quando un CT disperato getta uno straccio nel secchio, loro si mettono a ridere. Quando l'ennesimo centrocampista si butta giu' dolorante per un contatto, il volto contorto in una maschera tragica (e il 90%, va detto, sono in maglia azzurra), loro si sganasciano. Quando Grosso si mette le mani nei capelli, disperato per un calcio in uno stinco, si sbudellano. Gattuso, poi, fa ridere solo a guardarlo.

Davvero, non si rendono affatto conto della gravita' della cosa. Quando infine Grosso segna, e la diretta per un attimo mostra un'immagine del Circo Massimo che s'infiamma, loro ridono a crepapelle. Non gli passa per la mente il fatto che da qualche parte nello stesso mondo ottanta milioni di tedeschi hanno cominciato a soffrire e cinquanta milioni di italiani hanno le palpitazioni. Non sanno quanti padri di famiglia tedesca stiano seriamente pensando di cambiare localita' balneare per l'agosto, onde evitare l'irridente bagnino romagnolo. Ne' concepiscono il dramma schizofrenico del bagnino romagnolo, che sogna da 24 anni l'umiliazione del crucco, ma nel frattempo teme di non rivederlo per un'intera estate. Non ne sanno niente, loro.

Per loro e' un gioco, in cui nessuno segna quasi mai, ma quando qualcuno segna poi e' finita. E' divertente questa cosa, che il pallone non si puo' toccare con le mani. Le strattonate, i fischi, i tuffi. I portieroni coi loro guantoni.

E l'Europa tutto intorno, che trattiene il sospiro, e' uno spasso.
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- prepararsi al peggio e al meglio

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Insomma, a questo punto (io lo dico piano) (anzi, non lo dico proprio) (lo dico sotto forma di ipotesi, di ipotesi lontanamente plausibile) (un'ipotesi accademica, pura speculazione) dobbiamo prepararci all'eventualità, intendo dire la remota eventualità, che Berlusconi perda le elezioni.

Cosa fare dopo B ?


E che sarà mai, uno dice. Ne ha perse altre. Sì, ma stavolta è diverso. L'uomo è anziano e stanco – e sarebbe anziano e stanco persino se il dieci aprile vincesse. Spira una certa tramontana, e secondo me è il caso di prepararsi. Noi siamo maniaci di Berlusconi, è cosa nota. Per noi è il simbolo delle mille cose di questo Paese che non ci sono mai piaciute. In questo è persino troppo comodo – un signore che da solo mette insieme il malaffare della Tangentopoli milanese con la mafia siciliana, la speculazione edilizia, la televisione spazzatura, la politica spazzatura, l'anticomunismo da strapazzo, l'arroganza brianzola: nell'odissea dello schifo italiano di questi ultimi vent'anni non c'è praticamente un solo capitolo che non possa essere ricondotto a lui. Forse la mucillagine sulla riviera adriatica. Ma con un po' d'impegno.

Ebbene, questo comodo simbolo, questo sorriso a 32 perle stampigliato su tutte le cose che non ci piacciono, sta per salutarci, ed è un grosso pezzo della nostra vita che se ne va. È probabile che ci sentiremo più liberi, dopo. Ma è la liberta dei canarini fuori dalla gabbia, non è detto che sopravvivremo. Berlusconi è al governo dal 2001, ma ingombra il dibattito politico almeno dal 1994. Eravamo ancora ragazzini quando abbiamo imparato a dare ogni colpa a lui. Cosa faremo quando non ci sarà più? Sul serio, si accettano consigli.

S'intenda, noi non siamo quelli disperati che per saltare dal carro, in questi giorni, sono pronti ad aggrapparsi a qualsiasi cosa, comprese le sdrucciolevoli radici cristiane e le tonache di placidi cardinali che mai avrebbero pensato di trovarsi in prima linea nel conflitto di civiltà. Per quelli ormai è ragione di vita o di morte, per noi no; è abbastanza certo che manterremo gli stessi impieghi e le stesse frequentazioni; però siamo quel tipo di persone che non amano trovarsi a corto d'argomenti, e se B dovesse sparire d'un colpo, potrebbe appunto succederci questo: ritrovarci in società senza argomenti. E questo noi non lo vogliamo, vero?

Sgombriamo il campo da certi equivoci. Il fascismo, per esempio. Ogni tanto (anche all'estero) si fa questo paragone, che in realtà non ci dice molto né su Berlusconi né su Mussolini, né sul fascismo, né sull'Italia in cui viviamo oggi. Berlusconi senz'altro non è un antifascista molto convinto. Ma non ha mai pensato di praticare restrizioni alle libertà dei cittadini paragonabili a quelle di Mussolini. Né la situazione gliel'avrebbe consentito – l'Europa del 1994 non era più quella del 1922. Lo dico con una punta di rincrescimento, perché se fosse stato davvero il neoduce che un po' ci aspettavamo, avrei cospirato contro di lui. Il che francamente non è successo – mi sono limitato a lagnarmi su un blog, e lui me l'ha consentito.

D'altro canto il berlusconismo è stato per certi versi qualcosa di più subdolo e strisciante: e se fosse vivo oggi Pasolini affermerebbe senza tema che il ventennio berlusconiano (1986-2006?) ha fatto assai più danni di quello mussoliniano, perché la tetra propaganda fascista non aveva veramente fatto breccia nella coscienza del popolo, nel borgataro e nella contadina, mentre Canale 5… ma Pasolini è morto, e se fosse vivo io probabilmente non sarei d'accordo con lui e passerei il tempo a fargli il verso, quindi lasciamo perdere.

La verità è che il paragone tra Benito e Silvio è molto abusato perché comporta un notevole risparmio d'energia mentale. Soprattutto all'estero. Quando al Guardian parlano di un ritorno al fascismo, non fanno che interpretare male i sintomi, attribuendoci la stessa malattia di cui ci hanno già visto soffrire. Punti rossi, quindi è varicella. E se fosse morbillo?
C'è un'altra possibilità. Nella coscienza politica degli italiani, di quasi tutti gli italiani, Mussolini rappresenta il polo negativo. Ma all'estero, quando si cita Mussolini, non si ha tanto in mente il traditore ex-socialista, il delitto Matteotti, le leggi razziali, Salò… quanto piuttosto il massimo esempio di moderno tiranno-buffo, tiranno wannabe che si sgola per trascinare all'Impero un popolo di guitti scettici. È questo, dunque? Berlusconi sarebbe il successore di Mussolini in quanto clown?

Oggi non c'è dubbio che Berlusconi sia un clown – e anche come clown, piuttosto malriuscito. Da anni le sue clownerie ingombrano la scena politica italiana, abbassando il livello del dibattito, impedendoci di parlare di altro che non sia una pelata e un nasone rosso. Ma non è sempre stato così.
Nel 1994, quando abbiamo iniziato a preoccuparci seriamente di lui, l'aspetto clownesco era l'ultima voce in lista. A quel tempo eravamo tutti sinceramente spaventati di quello che avrebbe potuto fare un uomo in possesso di tre televisioni e un polo editoriale-pubblicitario, se si fosse conquistato la maggioranza in Parlamento. In effetti non sembravano esserci limiti al suo potere. Avrebbe potuto completare la conquista dei media italiani e sopprimere ogni voce di dissenso. E non era nemmeno inverosimile che un imprenditore di successo riuscisse a dare una scrollata a un sistema di potere incancrenito, e a conquistarsi coi fatti un consenso superiore a quel famoso 51% degli italiani.

Nei fatti, in cinque anni di governo si è 'limitato' a far votare innumerevoli leggi a suo favore, Costituzione inclusa. Ma non è andato oltre, non ci ha costretti ad amarlo con la forza.
Perché? Ci sono tante spiegazioni. Alcune ce le ha fornite lui stesso: gli alleati rissosi, la campagna d'odio della sinistra, il buco dell'Ulivo, l'Euro a 1936 lire, l'undici settembre… sì, sì, d'accordo.
E se B, più semplicemente, fosse un inetto? Come imprenditore ha avuto qualche buona idea (e qualche Santo in paradiso), ma come politico è stato incapace di mettere a frutto l'incredibile credito politico che milioni di italiani (dagli operai a Confindustria) gli hanno aperto nel 1994 (e qui il paragone con Benito Mussolini, giornalista post-socialista abbandonato dagli ex compagni, che in pochi anni si fa gioco di Giolitti e del Re, è davvero impietoso). Nella sua megalomania, si è sempre aspettato che gli italiani dovessero innamorarsi di lui spontaneamente. È un vecchio patetico playboy, che sotto il cerone si crede ancora, in qualche modo, irresistibile.

Ma è facile dirlo col senno del poi. Nel 1994 non potevamo saperlo. Eravamo partiti a lottare contro un tiranno moderno, efficiente e seducente; e ci siamo trovati di fronte, strada facendo, un clown che infila una serie prodigiosa di gaffes e orrende freddure. Dopo un'adolescenza abbastanza spensierata eravamo finalmente pronti alla tragedia, e abbiamo impiegato degli anni a capire che era una farsa, a nostre spese. Il nostro disagio non è poi così dissimile da quello di tanti berlusconiani, che dieci anni fa salirono sul carro pensando di appoggiare uno statista liberista, e oggi devono ridursi a dimostrare la genialità dell'odierna strategia comunicativa del Cavaliere. Partiti per fare i maître à penser, si ritrovano oggi a ridacchiare a comando sulle quinte del Drive In.

Da cui l'equivoco fondamentale, nel quale ci troviamo tutti invischiati: cosa non ci piace veramente in Berlusconi? Il caimano o il clown? Il fatto che abbia concentrato su di sé tutto il potere, o il fatto che non abbia saputo che farsene? Guardiamoci in faccia, compagni di trincea: abbiamo lottato contro un tiranno ridicolo perché era un tiranno o perché era ridicolo? Uno statista democratico altrettanto ridicolo ci andrebbe bene? O non preferiremmo un altro tiranno, ma un po' più serio?

Insomma, dopo B. una possibilità potrebbe essere rifarlo. Ma migliore. Più serio. Niente barzellette. O almeno divertenti. In Italia del resto gli autori non mancano. Siamo un popolo di allenatori, opinionisti, spindoctors. Forse è meglio mettersi sul mercato, si aprono mesi interessanti, le ragazze tirano fuori le camicette, e questa tramontana… è un bel momento, proviamo a godercelo. Ci sentiamo.
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- karaoke esistenziale

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Messaggio del Presidente morale
della Repubblica italiana (a reti devolute)


Ascoltalo qui

Margherita,
lo sai che tu sei tutta la mia vita?
Lo sai che ormai il mio cuore ti appartiene?
Ti voglio tanto bene, e invece tu…

E oggi un anno nuovo
ci regala il calendario:
si accendono le luci
e si tira su il sipario.
Ognuno fa la sua parte
e incomincia il blablabla,
alla moda
alla moda
alla moda del varietà

E alle 8 e mezza
mi presento puntuale;
lavoro tutto il giorno
e non mi trattano mica male!
Si spera nell'aumento
che la vita risolverà...
alla moda
alla moda
alla moda del varietà

Margherita,
lo sai che tu sei tutta la mia vita?
Lo sai che ormai il mio cuore ti appartiene?
Ti voglio tanto bene…

…e invece tu mi guardi storto
e mi dici una parolaccia
poi mi carichi a corpo morto
e mi tiri due pugni in faccia
ahi
ahi
ahi
ahi


Se io non so di un fatto
la versione originale
ci sono i quotidiani,
c'è la radio e il telegiornale
mi basta seguire un momento
e ho già chiara la verità:
alla moda
alla moda
alla moda del varietà

non può risolver tutto
neanche la democrazia,
ma è l'unico strumento
che ci dà una garanzia!
viviamo finalmente
con una certa dignità...
alla moda
alla moda
alla moda del varietà

Margherita,
lo sai che tu sei tutta la mia vita?
Lo sai che ormai il mio cuore ti appartiene?
Ti voglio tanto bene…

…e invece tu non sei clemente
e mi picchi in un ginocchio
io mi piego perché sofferente
tu mi morsichi in un orecchio
ahi
ahi
ahi
ahi


a scuola ai buoni un premio,
ai cattivi la punizione,
ma in seguito, nella vita,
è meno chiara la divisione
si parla di giustizia,
di uguaglianza
e blablabla
alla moda
alla moda
alla moda del varietà

e quando sarò morto
mi faranno il funerale:
per una volta ancora
sarò l'interprete principale
finita la triste funzione
poi la vita continuerà

alla moda
alla moda
alla moda del varietà

Giorgio Gaber (25 gennaio 1939 - 1 gennaio 2003)
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Tollerando tollerando

Ha ragione il Presidente Galan: il Veneto è una regione tollerante. Fin troppo.

C’è un tale Adel Smith, abruzzese di origini egizio-scozzesi convertitosi all’Islam, che sostiene di poter confutare la religione cristiana. Con una combriccola di amici (tra cui un ex brigatista, Massimo Zucchi) fonda un’associazione dal nome indovinato: Unione Musulmani d’Italia. Comincia con il chiedere la distruzione dell'affresco di San Petronio dove Maometto è dipinto tra le fiamme dell'inferno; diffonde volantini in cui considera la Comunione un "rito antropofago".
Pittoresco com’è, viene nominato da Bruno Vespa rappresentante televisivo dell’Islam italiano. E da lì in poi, ci si può immaginare come tutti i talk show politici non vedano l’ora di ospitarlo per tollerarlo un po’.

Quando arriva in Veneto, Adel Smith trova la gente molto ben disposta nei suoi confronti. “Qui sono tutti gentilissimi con noi”, dice, e c’è da credergli. Negli studi di Teleserenissima (Padova) ha un primo scontro a chi si tollera di più col leghista Pelanda.
Smith fa quel che può per dare una buona immagine di sé e dei Musulmani d’Italia: oltre a confutare come sempre la religione cattolica, annuncia che le torri gemelle sono state abbattute da Bush per darsi un tono, ecc.Vince lui, che si prende per primo un ceffone. Poi, certo, replica con calci e pugni, ma era stato l’altro a non tollerarlo per primo.

Fatto questo, Smith se ne poteva pure tornare in Abruzzo o dovunque. Invece riceve un invito da un'altra emittente locale, Telenuovo (Verona), caso mai qualcuno cominciasse a farsi dei dubbi sulla tolleranza dei veneti.
Poi è successo che per fatalità passassero di lì 23 valorosi attivisti di Forza Nuova.
Dico “valorosi” perché si sa, gli attivisti di Forza Nuova sono guerrieri con la testa sulle spalle e non attaccano mai se non sono sicuri di essere in una situazione, diciamo, di parità col nemico: dodici contro uno. Siccome Smith e il suo compare erano in due, ce ne sarebbero voluti 24, ma ne mancava uno. A questo punto qualcun altro si sarebbe tirato indietro, ma loro no: dando prova di una determinazione e di un coraggio fuori della norma, il manipolo di valorosi eroi si è fatto sotto il campanello di Teleserenissima. “Pronto, siamo di Forza Nuova, vorremmo irrompere in una vostra trasmissione in diretta, abbiamo anche ortaggi e uova marce”.

Anche in questo caso, l’atteggiamento del personale di Teleserenissima è stato improntato a una massima tolleranza e disponibilità al confronto: ai 23 valorosi eroi è stata mostrata la strada più breve verso lo studio dove stava parlando Adel Smith.
Il conduttore dapprima non ha mostrato, se proprio dobbiamo dirlo, quell’atteggiamento tollerante che ci si aspetterebbe da un operatore dell’informazione: per esempio, ha chiesto loro che non si coprissero il volto mentre si avvicinavano ai due musulmani d’Italia e iniziavano a pestarli. Ma poi si è ammansito, e alla fine ha caldamente consigliato ai valorosi di andarsene prima che arrivasse la polizia.

Tutto questo sabato. Nei giorni successivi scopriamo che questo match di tolleranza è solo il primo round della prossima campagna elettorale. Smith, infatti, dichiara che l’Unione Musulmani si candiderà alle elezioni; il segretario di Forza Nuova, dopo aver proposto una decorazione per i suoi valorosi, annuncia che i sei arrestati, "che difendono i valori della patria e del cattolicesimo" saranno candidati a Treviso, altra città rinomata per la sua tolleranza nei confronti di tutti i cittadini, a partire dal primo.

Gli unici a non tollerare Smith, a quanto parte, sono i musulmani, che già dopo la prima serata a Porta a Porta lo avevano cacciato fuori con infamia dalla moschea di Roma. “È un personaggio preoccupante, sedicente presidente di un’associazione che al massimo rappresenta 4-5 persone. La condanna per la sua aggressione non deve far dimenticare che è una figura che fa della provocazione la sua ragion d’essere” (Hamza Piccardo, segretario dell’Unione Comunità Islamiche, sulla Repubblica di domenica). “Siamo dispiaciuti. Dispiaciuti per la violenza inaccettabile… ma anche per la scelta fatta dai media di avvallare un’immagine dell’Islam, quella di Adel Smith, che non corrisponde al vero volto dell’Islam” (Hamdi Guerfi, Imam di Verona, sulla Repubblica di domenica).
Si vede che è gente arretrata, che non ha ancora capito il valore della moderna tolleranza.
Nel frattempo, Teleserenissima aveva già invitato Smith a un’altra serata. Giusto perché non si pensasse che Verona non lo tollera abbastanza.

E tutto questo, noi, lo tolleriamo.
Ma a volte mi chiedo se non tolleriamo un po’ troppo.
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Maestri di vita (4) – Giorgio Gaber (1939-2003)

Margherita,
lo sai che tu sei tutta la mia vita?
Lo sai che ormai il mio cuore ti appartiene?
Ti voglio tanto bene, e invece tu…

E oggi un anno nuovo ci regala il calendario
si accendono le luci e si tira su il sipario
ognuno fa la sua parte e incomincia il blablabla
alla moda
alla moda
alla moda del varietà

E alle 8 e mezza mi presento puntuale
lavoro tutto il giorno e non mi trattano mica male
si spera nell'aumento che la vita risolverà
alla moda
alla moda
alla moda del varietà

Margherita,
lo sai che tu sei tutta la mia vita?
Lo sai che ormai il mio cuore ti appartiene?
Ti voglio tanto bene…

…e invece tu mi guardi storto
e mi dici una parolaccia
poi mi carichi a corpo morto
e mi tiri due pugni in faccia
ahi ahi ahi ahi

Se io non so di un fatto la versione originale
ci sono i quotidiani, c'è la radio e il telegiornale
mi basta seguire un momento e ho già chiara la verità
alla moda
alla moda
alla moda del varietà

non può risolver tutto neanche la democrazia
ma è l'unico strumento che ci dà una garanzia
viviamo finalmente con una certa dignità
alla moda
alla moda
alla moda del varietà

Margherita,
lo sai che tu sei tutta la mia vita?
Lo sai che ormai il mio cuore ti appartiene?
Ti voglio tanto bene…

…e invece tu non sei clemente
e mi picchi in un ginocchio
io mi piego perché sofferente
tu mi morsichi in un orecchio
ahi ahi ahi ahi

a scuola ai buoni un premio, ai cattivi la punizione
ma in seguito nella vita è meno chiara la divisione
si parla di giustizia, di uguaglianza e blablabla
alla moda
alla moda
alla moda del varietà

e quando sarò morto mi faranno il funerale
per una volta ancora sarò l'interprete principale
finita la triste funzione poi la vita continuerà

alla moda
alla moda
alla moda del varietà

(A la moda del varietà, 196?)

Un buon proposito per il 2003 potrebbe essere: basta coccodrilli, almeno per un po', eh?
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Dice che se non avesse niente di meglio da fare (tipo salvare il Paese, fare tutte le Riforme, porre fine alla Guerra Fredda, portare la Russia nell'Unione Europea), la salverebbe lui, la Fiat.
E siccome come imprenditore sa il fatto suo, e poi s'è fatto da sé, noi non ne dubitiamo, anzi, già stiamo fantasticando il successo mondiale di cui godrebbe una

MediaFiat
Per prima cosa, direi, due begli air-bag di silicone, che i ragazzi ne vanno matti.
E per vivacizzare il parabrezza (che mostra sempre la stessa strada, una noia), ogni 500 metri le Tergicristalline uscirebbero a farsi un balletto, sulle note dell'hit del momento (il momento dura un paio di mesi).
Quando fai un sorpasso, partono le risate finte.

Per i format... ehm, intendevo, per i modelli, è inutile investire tempo e denaro nella ricerca, con tutto il ben di Dio che c'è all'estero e basta copiarlo: poi, una volta individuata una linea che piace al pubblico, continuare a propinarla per vent'anni in tutte le salse. Al salone di Torino presentata la 25esima versione della MediaFiat "Costanzo", quest'anno con poltroncine reclinabili di serie e autoradio auto-sintonizzzz…
Certe volte ci provano, a inventarsi (a copiare) qualcosa di nuovo, tipo quella station wagon sigillata all'interno da cui si può entrare e uscire solo ogni sei mesi. In tutto questo tempo l'automobilista è costretto ad andare in giro per l'Italia (seminudo, perché il riscaldamento è a 36° fisso) e tutti sono liberi di farsi i c a z z i tuoi. Il primo anno è stato un successone, ma ha stancato subito. Quest'anno la grande novità è la stessa station wagon, però col karaoke di serie. Uno strazio.

Qualche optional rigorosamente fabbricato all'estero, Olanda o Brasile, che fa più chic. Una MediaFiat non ti lascia mai a piedi. Tranne, naturalmente, se per disgrazia si spegne un anabbagliante: in questo caso inchioda e non vuole ripartire (brevetto geom. Galliani).

Una macchina così, gli italiani la comprerebbero per forza - anche perché non avrebbero alternativa. Sarebbero infatti liberi di scegliere soltanto tra MediaFiat e veicoli RAI, Ridicole Automobili Italiane, una partecipazione statale ormai dismessa in cui vengono parcheggiati gli ingegneri MediaFiat che avanzano e i progetti non strategici. Oppure si va in bici e in motorino. Curiosamente, la percentuale di gente in bici e in motorino aumenterebbe di colpo, ma smetterebbe di essere conteggiata nelle statistiche, perché è un dato che non interessa a nessuno.

La proprietà manterrebbe coi propri lavoratori un rapporto franco e collaborativo. E in Sicilia, si guarderebbero bene da licenziare chicchessia.
"Come sono andate le trattative coi dirigenti Mediafiat?"
"Beene, molto bbene, direi… gli abbiamo spiegato che i lavoratori e i collaboratori della MediaFiat sono una grande famiglia, ah? E che anche lorsignori tengono famiglia, non so se mi sono spiegato…"
"E poi".
"E poi gli abbiamo fatto una proposta che non possono proprio rifiutare".

****

Comunque Berlusconi ha ragione…
…quando pone il problema del rapporto Fiat-Ferrari.
A cos'è servito spendere miliardi su miliardi (più di qualsiasi altra scuderia) per avere una monoposto che vince tutte le gare, mentre le vetture di serie sprofondavano nell'anonimato?
Forse scrivere "Fiat" sulle monoposto non sarebbe una cattiva pensata.
Invece l'idea opposta (applicare lo stemma del cavallino sui cofani delle Punto) è veramente idiota.
Purtroppo gli idioti sono il target ideale della Mediafiat.
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'lei non sa chi sono io!'.      'infatti'.Cinque o sei motivi per incassare con stile

Ammesso e persino concesso che di complotto si sia trattato, Madame, penso converrai che noi vittime potevamo incassare con più stile. Non sto parlando del gioco di Trapattoni, ma dei cronisti e commentatori che da due giorni non fanno che insistere su questo punto: "se la fifa è una mafia, perché non ne facciamo parte?" Da questo punto di vista non potrei scrivere qualcosa di più giusto e divertente di Zucconi (anche perché lui lo pagano). Mi sarebbe piaciuto che qualcuno almeno intonasse un piagnisteo sulla morale del gioco, sulla trasparenza dei bei tempi andati, che magari non ci sono mai stati, ma almeno ai ragazzini bisognerebbe raccontare che una volta le squadre vincevano lealmente, no?

Insomma, non dico la morale, ma perfino il moralismo è morto. Il mondiale è un palio di Siena dove la corruzione fa parte della competizione, Carraro è il dodicesimo uomo, che non ha saputo giocare la sua partita nelle tribune d'onore e ai ricevimenti che contano, per cui va licenziato a furor di popolo.
Per quanto mi riguarda, l'eliminazione non mi secca un granché. Convinto come sono che tutta la saggezza del mondo consista nella capacità della volpe di parlar male dell'uva che non riesce a raccogliere, avevo già preparato cinque o sei argomenti per dimostrare che Anzi, È Molto Meglio Così, e li ripassavo l'altro ieri in attesa del golden goal.
Ecco qui:

– Meglio perdere con la Corea che con un'antipatica squadra blasonata, tipo Francia o Inghilterra o Germania, che quando poi vai all'estero ti sfottono (prova a spiegargli che è un complotto degli arbitri, loro che non hanno avuto Piazza Fontana Ustica e Gladio ti daranno del paranoide).

– Perdere contro gli arbitri ci permette di fingere ancora per quattro anni di avere una grande squadra che gioca un grande calcio. Alè, l'illusione continua.

– O invece, al contrario, l'ennesima sconfitta ci costringerà a prendere atto che il nostro è un calcio malato, come diceva il tale.

– E poi tutto sommato, a me questi calciatori italiani in tutina aderente (Coco incappucciato sembrava decisamente un preservativo) non stanno tanto simpatici. Non è solo un fatto di stipendi: sì, guadagneranno un po' di più di un deputato, ma creano senz'altro più indotto e più felicità della maggior parte dei parlamentari. No, è una questione di stile. Non mi piace l'italiano che rappresentano, abbronzato, ben rasato, palestrato, pubblicizza le n i k e, esce con le veline, in ritiro fonde la playstation. Scusate se insisto sul concetto, ma a me piaceva Paolo Rossi, sembrava un mucchietto d'ossa gracili e si alzava più in alto dei brasiliani per segnare di testa. Se non avessi visto lui forse non avrei mai toccato un pallone. L'idea che i muscoli non siano tutto, e che tutti giorni si rimetta la palla al centro e si possano riscattare i propri errori. Rossi veniva da una squalifica, era un modello di riscatto. Vieri, scusatemi, al massimo è un modello di p u t t a n i e r e.

– E non scordiamo la politica, eh? Berlusconi si sarebbe preso tutto il merito. Qualcuno ricorda anche che, statisticamente, un mondiale perso anticipa una crisi di governo. (Bisognerebbe avere l'onestà di ricordare che i mondiali li abbiamo persi quasi tutti, e che i governi ci cadono in media ogni uno-due anni).

-- Così magari ricominceremo a leggere qualcosa di serio sui giornali. Ieri la strage di Gerusalemme (19 ragazzi morti) sul Resto del Carlino era a pagina 21.

– E magari per un po' non sentiremo più l'Inno di Mameli. Devo dire che stavolta si è passato il segno, soprattutto con le giovani generazioni. Mia madre mi riporta che i bambini lo cantano spontaneamente alla scuola materna, compresa la strofa di Balilla, e poi quel bel ritornello, "siam pronti alla morte". Quanto a me, la mia terza l'ultimo giorno di scuola me lo cantò all'unisono in tono di insubordinazione perché non li portavo fuori. Al che io risposi: 1. Se erano pronti alla morte, erano in grado anche di passare gli ultimi cinquanta minuti in aula a parlare dell'esame di licenza. 2. Sembravano proprio una bella classe di balilla idioti e desiderosi di andare a crepare per gli interessi altrui, ero molto deluso. Forse ho esagerato, ma cavolo, era l'ultimo giorno. Poi al tema d'italiano un ragazzo si portò un tricolore e a un certo punto ci s'involtolò dentro. Gli portava fortuna, secondo lui.

A proposito, devo fare ammenda per le mie previsioni e i miei calcoli sballati. Su questo blog di cazzate ne ho scritte molte senza che nessuno me le facesse notare, ma la scorsa settimana ho sbagliato a calcolare una differenza reti e mi avete scritto in cinque. Ragazzi, onestamente ci sono cose più importanti nella vita. Perché, ammesso e persino concesso che di complotto si sia trattato, Madame, penso converrai che ci son complotti ben più gravi da denunciare oggigiorno. Per esempio…
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